mercoledì 30 gennaio 2013

Rapporto HUMAN RIGHTS WATCH: l'occupazione israeliana dei territori palestinesi



Jubbet al-Dhib è un villaggio palestinese di 160 persone a sud-est di Betlemme. I bambini, per raggiungere la scuola in altri villaggi, devono percorrere un sentiero sterrato di 1,5 Km. Il villaggio non ha neanche l'energia elettrica perchè le autorità israeliane hanno respinto un progetto (finanziato da donatori internazionali) che avrebbe fornito lampioni a energia solare. Gli abitanti di Jubbet al-Dhib usano, per l'illuminazione, piccoli gruppi elettrogeni a carburante. I residenti, inoltre, si alimentano con prodotti conservati perchè, ad esempio, la carne e il latte vanno consumati velocemente a causa della mancanza dei refrigeratori.
Sde Bar è una comunità ebraica di circa 50 persone; è collegata a Gerusalemme da una nuova autostrada, la "Lieberman Road"; la comunità è anche fornita di una scuola superiore, di elettricità e di fondi per lo sviluppo residenziale.
Questi sono due esempi riportati nel rapporto di Human Rights Watch sui territori arabi occupati da Israele, intitolato: L'Apartheid in Palestina. Il libro sarà presentatao il 1 febbraio, alle 17.30, presso il Palazzo Ducale di genova, alla presenza del Prof. Alessandro Dal Lago.
Jubbet al-Dhib e Sde Bar si trovano, entrambi, nell'" Area C", in quel territorio che - in base agli accordi provvisori di pace di Oslo del 1995 - sono sottoposti al controllo civile e militare israeliano.
Il rapporto di Human Rights Watch mette in evidenza le pratiche israeliane che promuovono la vita nelle colonie e soffocano la crescita delle comunità palestinesi, controllandone molti aspetti della vita quotidiana, come, ad esempio: l'accesso alle reti elettriche, le richieste di permessi edilizi per le abitazioni, scuole e ambulatori medici e per le infrastrutture.
Un trattamento così diverso a causa dell'origine etnica e nazionale - non giustificabile da oggettivi pericoli di sicurezza - va a violare il divieto fondamentale di discriminazione.
Il testo del rapporto è stato tradotto anche in lingua italiana - con la cura di Gianfranca Scutari - con l'intento di farlo conoscere a tutti i gruppi, istituzioni e organizzazioni che danno il loro contributo per il pieno riconoscimento dei diritti umani, politici e sociali della popolazione palestinese. E'stato usato un linguaggio semplice per agevolarne la lettura anche e soprattutto a chi non conosce la situazione o abbia, come unica fonte di informazione, i giornali e la televisione che, spesso, riportano notizie poco chiare.