sabato 23 febbraio 2013

Morire di nostalgia a 14 anni (e un film come dedica)


Habtamu Scacchi aveva solo 14 anni. Era di origini etiopi ed era stato adottato da due coniugi italiani che lo amavano moltissimo.
L'altro ieri si è tolto la vita, impiccandosi.
Era residente a Paderno Dugnano e il suo corpo è stato ritrovato in un campo di Biassono, abbastanza vicino al luogo in cui viveva e studiava.
Ma in precedenza si era già allontanato da casa: un anno fa si trovava in villeggiatura sul lago D'Orta, nel novarese, e da lì era scappato, portando con sé una cartina geografica, e agli agenti che lo avevano fermato, per poi ricondurlo dai suoi genitori, aveva detto di provare una forte nostalgia e di desiderare di rivedere i familiari rimasti in Etiopia.
Il 15 febbraio scorso il ragazzino si era allontanato di nuovo dalla cittadina di residenza, senza documenti né telefono cellulare, e i genitori avevano subito dato l'allarme perchè preoccupati da un biglietto lasciato dal figlio. Sul foglio di carta, infatti, Habtamu aveva scritto: “Non ce la faccio più a vivere in Italia, voglio morire”. E così, purtroppo, è stato.
Un adolescente che, oltre alle inquietudini proprie dell'età, portava dentro di sé il peso dello strappo dalle proprie origini e dai propri affetti e, probabilmente, anche il disagio – non ancora risolto – di una doppia appartenenza, di una doppia identità.

Ad Habtamu vogliamo dedicare la recensione del romanzo e dell'omonimo film Vai e vivrai di Radhu Mihaileanu (editi entrambi da Feltrinelli). Nei film e in letteratura, spesso, c'è il lieto fine; nella realtà, altrettanto spesso, purtroppo, no.

VAI e VIVRAI di Radhu Mihailenau



Tra il 1984 e il 1985, migliaia di africani aspettano di essere imbarcati sugli aerei per essere portati in salvo in Israele. Sì, perchè quegli africani sono ebrei etiopi, i falasha.
Molti di loro non riescono, per vari motivi, a scappare dalla carestia e rimangono al campo profughi in Sudan e, quasi sicuramente, andranno comunque incontro alla morte, per fame, per sete, per malattia. Proprio per evitare questo, una madre cristiana spinge il proprio bambino verso un'altra donna, affidandoglielo e chiedendole di portalo con sé in Terra Santa, come un falasha. Il bambino dovrà abbandonare il proprio vero nome – si farà chiamare Schlomo – la propria religione, il proprio Passato.
Una volta giunto in Israele , dove viene adottato da una famiglia di ebrei illuminati, la sua esistenza non sarà facile: ogni successiva conquista avverrà a seguito di dolore e di sofferenza perchè è un bambino nero in una società di bianchi, una società complessa caratterizzata dal razzismo tra ebrei askenaziti e sefarditi, un conflitto – questo – che si va ad aggiungere a quello con i palestinesi.
Lo stesso Mihaileanu, nato da una famiglia di ebrei rumeni, è dovuto scappare dal regime di Ceausescu e ora vive a Parigi e, dopo il successo di Train de Vie, ha proposto la storia dei falasha, una storia poco conosciuta, ma molto interessante. Nel caso degli ebrei etiopi, infatti, è la prima volta nella storia dell'umanità, secondo l'opinione del regista, che dichiararsi ebrei può servire per salvarsi la vita, anche se sempre a caro prezzo.
Lo stile del racconto cinematografico (ma anche il libro è altrettanto profondo) mescola il documentarismo con l'epopea per scandagliare gli stati d'animo del protagonista che viene seguito in tutte le tappe della vita. Il titolo originale della pellicola, infatti, è Va, vis, deviens: Va, vivi e diventa. Schlomo è un bambino, poi un adolescente e poi un giovane uomo e, nel corso degli anni, porta sempre dentro di sé la nostalgia per la propria terra, per la propria cultura, per la propria madre che cerca nel cielo, guardando le fasi della luna.
Il film e il romanzo riportano un testo universale, quindi: si parla della ricerca di equilibrio tra due identità diverse; si parla della ricchezza potenziale che due appartenenze veicolano; e si parla di maternità: Schlomo si confronta con tre madri. La madre biologica, quella adottiva (importantissima la scena in cui la donna lecca il viso del figlio per dimostrare ai genitori razzisti dei compagni di scuola che essere neri non significa avere qualche malattia) e Sara, la donna che lo farà diventare padre.
Ma, soprattutto, la Mamma Africa: quella che ha generato lui e tutti quelli come lui, quella terra e quella cultura che gli ha dato i tratti somatici e la fierezza, i moti dell'anima e il suo Passato. Per andare incontro al futuro, e a una nuova vita, Schlomo dovrà fare ritorno alle proprie radici,  camminare a piedi nudi, come in pellegrinaggio, sulla terra arida del proprio Paese per riabbracciare colei da cui tutto è partito.