mercoledì 6 marzo 2013

La storia di Samer Issawi: un altro detenuto palestinese nelle carceri israeliane



Trentaquattro anni, Samer Issawi era stato arrestato nel 2002 per partecipazione alle attività di un gruppo militare palestinese ed era, poi, stato rilasciato nel 2011 nell'ambito dello scambio di prigionieri tra Hamas e Israele (secondo l'accordo di Shalit). Dopo qualche mese, però, viene di nuovo imprigionato con l'accusa di aver violato i termini dell'accordo in quanto,forse, sarebbe uscito dai confini di Gerusalemme.
Issawi - dal 1 agosto scorso, di fronte al rifiuto da parte delle autorità israeliane di comunicare, con precisione, i motivi dell'arresto - ha iniziato uno sciopero della fame e della sete (quest'ultimo interrotto solo grazie all'intervento della Croce Rossa) che lo ha portato a pesare, oggi, 47 chili, a dover rimanere seduto su una sedia a rotelle e ad essere tenuto in vita da una flebo di glucosio e sali minerali.
Perchè questa protesta? L'uomo ha deciso di mettere in atto lo sciopero della fame per denunciare le condizioni di vita dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, per ribellarsi alla cosiddetta “detenzione amministrativa” che lo stesso Rapporteur delle Nazioni Unite per i diritti umani, Richiard Falk, ha definito “detenzione disumana”. Il detenuto, infatti (come molti altri) al momento dell'arresto non ha avuto la possibilità di essere assistito da un avvocato e, ancora oggi, restano segrete le condizioni alla base dell'accordo di Shalit e, quindi, né Issawi né il suo attuale avvocato possono capire in che modo siano state violate.
A tutto questo si aggiunge che: quando, durante il processo di primo grado, l'uomo ha cercato di salutare la madre e la sorella, gli agenti lo hanno colpito al collo, al torace e allo stomaco; le autorità hanno, inoltre, tagliato il collegamento idrico alle abitazioni dei suoi parenti e hanno arrestato altri due fratelli.
In rete si moltiplicano gli appelli per salvare la vita di Issawi e per la messa in atto di un giusto processo. Si è mossa anche l'Anp: il presidente, Abu Mazen, ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire e a lui si è aggiunto Mahamoud Abbas che ha scritto una lettera al segretario generale Ban Ki-moon.