domenica 10 marzo 2013

Professione fotografo: testimoniare la realtà



Qualche giorno fa abbiamo segnalato una mostra fotografica sui bambini di strada indiani, organizzata dalla Fondazione Fratelli dimenticati ONLUS, e allestita presso la sala Livio Paladin di Palazzo Moroni, a Padova .Grazie al supporto di molte persone, la fondazione aiuta oltre 10.000 bambini in India e 2.000 tra Nepal, Nicaragua, Guatemala e Nord Messico attraverso il Sostegno a Distanza.
Il fotografo, Marc De Tollenaere - nato a Tripoli in Libia, nel 1969, da padre Belga e madre esule giuliana - ha studiato fotografia con Gianni Berengo Gardin, David Alan Harvey (Magnum), Kent Kobersteen (ex direttore della fotografia di National Geographic, Antonin Kratochvil (VII) e Bob Sacha (Life, Fortune e National Geographic).

Abbiamo rivolto alcune domande a Marc De Tollenaere

Se ha avuto l'opportunità di conoscere le storie di alcuni dei bambini indiani ritratti nella sua mostra a Padova. ce ne può raccontare qualcuna?

Certo, ricordo una bambina di circa 2 o 3 anni, era rimasta orfana di madre e il padre si era risposato, la matrigna però non la accettava in quanto figlia di un’altra donna e le aveva fatto bere qualche sostanza nociva, forse dell’acido. Era stata accolta nella struttura per bambini in attesa delle decisioni del giudice. Ricordo che era dolcissima e che mi veniva sempre in braccio mentre fotografavo, (a volte la tenevo in braccio con la destra e fotografavo con la sinistra) e molto socievole con gli altri bambini. Un altro ricordo è per un ragazzo di circa 10 anni, incontrato ad Ashalayam, una delle scuole salesiane di Calcutta. Prima di essere “sponsorizzato”, cioè adottato a distanza abitava con altri bambini nella stazione di Calcutta. Quando ho chiesto di fotografare i bambini della stazione di Calcutta lui mi ha fatto da guida e per la prima volta dopo due anni è tornato nei posti dove abitava. Mi ricordo che mentre ci avvicinavamo alla stazione tra me e me mi chiedevo come sarebbe stato per lui ritrovarsi a contatto con la realtà molto difficile in cui viveva fino a qualche anno prima. E’ stato incredibile vedere la sua faccia seria e quasi stupita che si aggirava nei vari ambienti dell’immensa stazione che, ovviamente, conosceva come le sue tasche. L’incontro con gli altri bambini è stato caloroso, ma si vedeva che lui era in un’altra dimensione, quella vita non gli apparteneva più.

Le è rimasta nel cuore, in particolare, una bambina-ragazza-donna che ha fotografato? Anche di un altro continente?

Le donne di solito fanno una vita molto riservata, per cui è difficile incontrarle e parlarci, ricordo però Lucy, una donna che viveva in una bidonville di Calcutta e dedicava tutta la sua vita a prendersi cura dei poveri. La sua vita era stata raccontata da Dominique Lapierre nel best seller “La città della Gioia” sotto lo pseudonimo di “Bandona”, solo che per vendere meglio il libro Lapierre si era inventato una storia falsa di lei con un uomo (un prete, tra l’altro) e questo in India per una donna che non si è mai sposata costituisce un gravissimo insulto. Ha continuato a fare il suo lavoro nella bidonville e non ha mai più voluto incontrare Dominique Lapierre. Una scena invece che mi ha colpito riguarda una bambina appena arrivata in un orfanotrofio dove ho vissuto e fotografato per una settimana, avrà avuto 7 o 8 anni ed era a dir poco splendida, con un’aria indifesa e un po’ impaurita, ma uno sguardo fiero e deciso che lasciava trasparire una grande forza interiore. Parlava pochissimo e la sera del suo arrivo si è seduta a guardare la strada fuori dalla finestra del secondo piano. Lentamente le scendevano le lacrime ma in silenzio. Sapeva benissimo che strillare e battere i piedi non sarebbe servito a nulla.


Quali sono le aspettative dei ragazzi fotografati in India?

Quelli che hanno accesso all’istruzione e che ho avuto modo di incontrare nelle varie visite alle scuole sono perfettamente consapevoli della fortuna che hanno. L’impressione che ne ho avuto è che credano veramente in un futuro, del resto la loro economia è senza dubbio più in crescita della nostra; sanno che se daranno il meglio a scuola potranno avere accesso al mondo del lavoro. La loro aspettativa più grande è quella di potersi costruire qualcosa di proprio.

Ha ripreso altre realtà nel mondo: in che modo si avvicina alle persone? E loro come reagiscono davanti a un obiettivo fotografico?

Tutto sta nel fare in modo che le persone dimentichino che c’è una macchina fotografica e per far questo di solito passo del tempo con loro, per vedere cosa succede, come si muovono, come reagiscono alle mie domande o ai miei movimenti. Cerco di non stressarli, prima guardo e poi eventualmente fotografo. Troppe volte vedo persone invadenti che stanno con la macchina puntata per lunghi interminabili secondi davanti ad un soggetto. Se stanno lavorando mi informo su quello che stanno facendo, in modo da essere pronto nell’attimo che interessa a me, e di solito poco dopo, quando hanno avuto tutte le informazioni e hanno saziato la loro curiosità nel sapere chi sono, da dove vengo e perché sono lì, riprendono a lavorare. A quel punto sono talmente lì che sono diventato un pezzo di arredamento e posso dedicarmi a guardare e a cogliere ciò che più mi aggrada, in modo semplice, diretto e conciso. E’ una questione di psicologia, bisogna sempre ricordarsi che chi fotografa è parte della foto, dalle sue azioni dipenderà il buono o cattivo risultato.

Secondo lei, c'è un filo conduttore che lega le persone che abitano nel sud del mondo?

Direi che il filo conduttore è la vita sociale, che mi ha colpito molto probabilmente perché da noi è quasi dimenticata. Le persone si incontrano, si conoscono tutti anche in quartieri immensi e non ho mai avuto l’impressione che qualcuno si sentisse solo. Giocano insieme: a dama, a carte, a backgammon, per strada o davanti alla porta delle abitazioni, ed è una cosa bellissima, se si pensa che il tutto si svolge in città da milioni di persone. Ogni quartiere o porzione di quartiere sembra un villaggio. L’ho visto in tantissimi posti, per esempio in Cina: ho visto i pensionati si portano dietro le gabbiette con dentro gli uccellini e vanno a chiaccherare in piazza, o che in gruppetti fanno Tai Chi nei parchi, in Vietnam i vecchi che giocano a carte con i giovani sulla riva del fiume. Durante i workshop di fotografia che tengo in giro per il mondo sono stato invitato varie volte con i miei studenti a dei matrimoni (in Nepal e in Cambogia ad esempio, straordinari per i riti, i colori e l’ospitalità della gente) o a delle feste di compleanno, come nell’antico villaggio di Ghandruk, sull’Himalaya, dove ci hanno invitati a mangiare bere e ballare semplicemente perché si passava lì davanti!