mercoledì 24 luglio 2013

Il caso Tryvon Martin




Siamo negli Stati Uniti del 2012: eppure ancora qualcosa non va.
Un giovane nero - si saprà poi che aveva 17 anni - cammina, con il cappuccio di una felpa in testa e le mani in tasca, nel quartiere bianco di Sanford, in Florida. E' il 27 febbraio dell'anno scorso, ed è sera. Il ragazzo si chiama Tryvon Martin, frequenta la scuola e gioca in una squadra di football; ma quella sera, incrocia il passo di George Zimmermann, un ventottenne autoproclamatosi “capitano della guardia di quartiere”. Zimmermann, vedendo il ragazzo incappucciato, chissà perchè si insospettisce, pensa che sia uno spacciatore e inizia a seguirlo. Martin, intanto, è al telefono con un'amica alla quale dice di sentirsi pedinato da qualcuno e gli consiglia di scappare: il ragazzo comincia a farlo, la guardia teme che sia armato (solo perchè continua a tenere l'altra mano in tasca), i due si ritrovano faccia a faccia. Comincia una colluttazione, Zimmermann ha una pistola e spara. Arrivano i soccorsi, ma è troppo tardi: Tryvon è morto a soli 17 anni. Nelle sue tasche sono state trovate caramelle e una bottiglia di the alla pesca.
La vicenda di Tryvon Martin ha assunto dimensioni planetarie perchè conferma quanto lavoro c'è ancora da fare per abbattere stereotipi, pregiudizi, razzismo e violenza.
I genitori del ragazzo hanno lanciato una petizione online, pochi giorni dopo la sua uccisione, per chiedere giustizia. Durante la marcia a New York del 21 marzo 2012 chiamata “Million Hoodie March” (composta da migliaia di persone con un cappuccio in testa che scandivano slogan tra cui “Il prossimo sono io?”) la madre di Tryvon, Sybrina Fulton, ha detto: “ Questa non è una questione tra bianchi e neri. Questa è una questione di giusto e sbagliato. Nostro figlio è vostro figlio”. E le ha fatto eco il Presidente Obama che ha affermato, rivolgendosi ai genitori della vittima: “Se avessi un figlio, avrebbe il suo stesso aspetto”. Eppure un ragazzo nero con una felpa - nell'Occidente emancipato, capistalista, libero e democratico - viene ancora preso per uno spacciatore e niente di più. E viene ucciso. Anche se, nel manuale della guardia di quartiere si legge: “ Deve essere ricordato ai membri che loro non hanno poteri di Polizia e, quindi, non devono portare con sé armi né possono fare inseguimenti”.
Il sociologo Zygmut Baumann , nel suo saggio intitolato “Paura liquida” scrive: “Paura è il nome che diamo alla nostra incertezza: alla nostra ignoranza della minaccia, o di ciò che c’è da fare - che possiamo o non possiamo fare - per arrestarne il cammino o, se questo non è in nostro potere, almeno per affrontarla...La generazione meglio equipaggiata di tutta la storia umana è anche la generazione afflitta come nessun’altra da sensazioni di insicurezza e di impotenza.” (…) Il paradosso nell’analisi della paure diffuse che, nate e alimentate dall’insicurezza, saturano la vita liquido-moderna è che viviamo senza dubbio - per lo meno nei paesi sviluppati - nelle società più sicure mai esistite...I messaggi che arrivano dai luoghi del potere politico, propongono più flessibilità come unico rimedio a un livello già intollerabilie di insicurezza, prospettando ulteriori sfide e una maggiore privatizzazione dei disagi: in ultima un’insicurezza ancora minore (…). Incitano all’incolumità individuale, in un mondo sempre più incerto e imprevedibile e dunque potenzialmente pericoloso”: ormai la cultura della paura ha invaso le nostre società e modificato i nostri pensieri e gli stili di vita. La paura causa necessità di sicurezza e questa si tramuta in volontà di controllo. Ogni singola minaccia, vera o presunta, scatena aggressività e autodifesa.
E proprio appellandosi al diritto di legittima difesa, in quanto si sentiva minacciato dal ragazzino, Zimmermann, quasi a un anno di distanza dall'accaduto, è stato assolto.
I genitori potranno rivolgersi ad un tribunale civile, mentre le autorità dovranno decidere se avviare un procedimento federale.
L'opinione pubblica, non solo quella americana, ha già espresso il proprio parere: tantissime persone, infatti, sono scese in piazza per manifestare di nuovo contro la decisione della giuria della Florida mentre anche molti giornalisti e intellettuali si interrogano sul significato di quanto è successo.