domenica 3 novembre 2013

Ti disturbo?: parlare di una Milano multietnica con ironia


Sanja Lucic è nata a Belgrado. Vive e lavora a Milano da 13 anni, città che ama moltissimo . Giornalista da più di 16 anni, nel 2000 si trasferisce nel capoluogo lombardo dove lavora a Radio Popolare oltre a scrivere per molti giornali in Serbia e in Italia.
Ha curato per anni il blog
www.strangerinmilan.com da cui è nata l'idea di Ti disturbo? Una serie di racconti lucidi, divertenti, acuti e pungenti. Un libro edito da Edizioni del Gattaccio.



L'Associazione per i Diritti Umani ha intervistato per voi l'autrice e, in primavera, saremo lieti di presentare il libro in un incontro pubblico. Ringraziamo tantissimo Sanja Lucic e il suo editore.


Le parole, il linguaggio veicolano stereotipi, spesso negativi: quali sono i modi di dire più frequenti nelle conversazioni e quali le sembrano inopportuni?

Nel mio libro parlo molto di modi di dire che non sono solo questo, rispecchiano i concetti di vita in questa città, in questo Paese. Ho sempre trovato molto strano dire “Ti disturbo?” (ed è anche il titolo del libro) quando si chiama qualcuno. Non capisco perché dobbiamo pensare che la nostra telefonata disturbi la persona dall’altra parte e poi se è effettivamente occupata dovrebbe non rispondere, giusto? Ma questo evidenzia un modo di vivere completamente indirizzato sul lavoro, sulle cose da fare, dove i momenti per godersi la vita, fare due chiacchiere con gli amici, sentire qualcuno al telefono, sono rari, sono un fattore disturbante. Il tempo qua è prezioso, si ritiene che tutti hanno tanto da fare in ogni momento della giornata e non hanno il tempo da perdere, con una telefonata (se non è di lavoro), appunto. La stessa cosa è con: “Dimmi”, oppure “Buon lavoro”. Queste frasi mi sono sempre suonate stonate, non mi appartengono e non le uso mai. Non è una critica, è solo un’osservazione di qualcosa che è diverso dal mio modo di vivere. Nel libro ci sono molti modi di dire che ho notato da straniera, ma decisamente non è un libro che parla solo di questo.


Ci può raccontare della sua esperienza, vissuta nel 1999 a Belgrado?

Il 1999 è stato un culmine, dopo sette anni d’embargo economico e gli scaffali nei supermercati completamente vuoti, la benzina che si vendeva nelle bottiglie per strada, l’inesistenza delle banche, lunghe code per i beni primari dalle 04 del mattino, gli amici chiamati in guerra e i notiziari che 24/24 h trasmettevano le immagini terribili; gli anni in cui non sapevo che fine avevano fatto mia zia e la nonna in Croazia perché le linee telefoniche erano tagliate. Nel 1999 gli aerei della Nato hanno bombardato Belgrado per 78 giorni. Ho vissuto in quei giorni sempre vestita, con uno zaino vicino al letto dentro il quale c’erano poche cose necessarie per una fuga. Non c’era più la differenza tra il giorno e la notte. Gli aerei attaccavano sempre, le sirene che ci avvisavano del loro arrivo partivano d’improvviso, ad ogni ora. Il 30 aprile del 1999 una “bomba intelligente” e’ caduta a 100 metri da casa mia. Sono morte le persone, l’intera via è stata rasa al suolo ed io per soli 100 metri non sono stata “l’errore collaterale”. E’ stato terribile ma è come se io solo ora avessi elaborato tutto. Qualche giorno fa, per la prima volta dopo 14 anni, sono scoppiata a piangere raccontando l’accaduto.


Le è capitato di sentirsi straniera a Milano e ci si può sentire tali anche se si è nati in questa città?

Non mi è mai capitato che gli altri mi abbiano fatto sentire straniera. Ho forse avuto la fortuna di incontrare le persone che non hanno mai fatto un accenno, in senso negativo, al fatto che io fossi straniera. Ma ci sono state alcune volte in cui mi sono sentita tale.
Si tratta di momenti, di episodi di vita quotidiana quando per esempio mi accorgevo che qua la gente non si telefona per chiacchierare ma per mettersi d’accordo per qualcosa. Che non c’è l’abitudine di sentirsi al telefono solo per condividere una cosa, una sensazione, un episodio. Che la gente non fa le visite a casa se non si preannunciano molto tempo prima. Ma in generale ci si incontra nei ristoranti e raramente a casa. Che Milano toglie completamente la spontaneità. E’ una città molto programmata, ogni minuto è pensato bene e riempito fino ai minimi dettagli. Non c’è tregua. E poi, qua si sente spesso che si è amici, tutti sembrano amici ma in realtà, si tratta delle semplici e superficiali conoscenze. Ecco, questi sono gli esempi delle varie situazioni nelle quali io mi sono sentita diversa-straniera visto che da dove arrivo io si vive diversamente.
Ascoltando gli amici napoletani, calabresi, sardi e pure romani noto che loro fanno le mie stesse osservazioni. E si sentono stranieri a Milano. Ma la cosa interessante è che spesso le persone nate in questa città commentano e criticano Milano dicendo: “E pensa, sono nato qua!”

Che cosa ama, invece, in particolare di Milano?

Spesso mi capita di guidare per le vie che ormai conosco bene, di sorridere e pensare: “Questa è la mia città”. Io adoro i tram milanesi, mi fanno sentire a casa, mi piace il Duomo, lo trovo “mozzafiato” ed ogni volta quando gli passo vicino mi emoziona. Mi piace via Paolo Sarpi. Mi piacciono i chioschi che vendono i fiori, il parco Sempione, i mezzi pubblici che nonostante quello che si dice sono puntuali. Ma sopratutto mi piace il mio mondo che mi sono creata a Milano. Il mondo fatto dal bar di Efisio sotto il condominio 54, i miei stupendi vicini di casa e il caffé al mattino con loro, i piccoli negozi dove conosco tutti, la passeggiata con il cane quando chiacchiero con la gente e il fatto che nel mio quartiere ci conosciamo tutti. Io amo le persone perché basta non fermarsi all’apparenza e in questa città trovi gente stupenda, buona, creativa, interessante, generosa.


Il suo nome, in serbo, significa “colei che sogna”: quali sono il suo sogno più bello e il suo desiderio più grande ?

Direi che proprio in questo momento una fase della mia vita è finita. In questa fase avevo realizzato tutti i miei sogni. Avevo una lista che riguardava l’università, il lavoro da giornalista, l’amore, gli interessi, i viaggi. E ho fatto tutto anche se è stata davvero dura, soprattutto negli anni di guerra.
Ora le cose sono cambiate ed io ho una nuova lista. Mi piacerebbe continuare ad essere in salute, avere i soldi a sufficienza per poter rendere felici le persone che mi circondano, vorrei continuare a lavorare in radio perché non è solo un lavoro, è la ragione di vita. Vorrei pubblicare un altro libro, portare questo primo in teatro e vorrei avere una famiglia.