mercoledì 12 marzo 2014

Ricchi di cosa, poveri di cosa? Burkina Faso, Senegal, Italia. Reportage teatrale tra giornalismo, fotografia e musica




testo e voce Livia Grossi

foto e video Emiliano Boga

musica Jali Omar Suso

scrittura scenica Emanuela Villagrossi

Emiliano Boga
 

Senegalesi che tornano a casa dopo anni di emigrazioni, lavori degradanti in Europa e tante umiliazioni; europei che decidono di andare in Burkina Faso per essere poveri sì, ma più felici. Questa la situazione paradossale che viene raccontata da Livia Grossi in un reportage che, alla forza della sua indagine giornalistica unisce le bellissime foto - un paio qui pubblicate – e i video di Emiliano Boga.
La giornalista del Corriere della sera accompagna gli spettatori in un viaggio reso affascinante anche dalle note della
kora (tipico strumento africano) di Jali Omar Suso che come tanti altri nel suo Paese è un “griot”, un cantastorie. Storie che dovremmo solo imparare ad ascoltare con attenzione.






Abbiamo intervistato per voi Livia Grossi che ci ha anche scritto:

Emiliano è stato il mio compagno di viaggio, amico e fotografo: è scomparso recentemente per un incidente. Ogni replica di questo reading la dedico a lui”.  



Quando è come si è sviluppato il suo progetto sul teatro africano?

Da oltre vent'anni viaggio per il continente africano, ma solo nel 2012 ho deciso di partire per il Burkina Faso, "il paese degli uomini integri", come l'aveva battezzato Thomas Sankara, ex presidente del Paese assassinato nel 1987. A farmi prendere la decisione di partire è stata una notizia a dir poco bizzarra: in Burkina, il 6° paese più povero al mondo, ci sono oltre 200 compagnie che lavorano e si mantengono facendo teatro. Per una giornalista come me che scrive di cultura e teatro è quasi una provocazione: ho deciso di prendere l'aereo e partire, ovviamente a mie spese , senza alcuna sicurezza di pubblicare l'articolo, fa parte del pacchetto 'rischi e libertà' del free lance.


Che cosa significa "fare teatro" nei paesi africani, in particolare in Burkina Faso e in Senegal?                        


In Burkina Faso, ma anche in Senegal spesso gli spettacoli sono un mezzo d’informazione e formazione sociale. Si parla di aids, emigrazione, infibulazione, decessi per parto, ma anche di come ci si cura con le erbe. Si fa teatro ovunque, sotto i baobab nei villaggi, in piazza tra la polvere rossa della strada, sotto le stelle del teatro della capitale Ouagadogou, o tra i panni stesi nella Casa della Parola di Bobo Doulasso, l'antica corte di Sotigui Kouyaté, il griot scelto da Peter Brook per il suo Mahabharata. Il teatro è essenziale per la vita del popolo burkinabé, e qui se c'è da pagare qualche centesimo per il biglietto nessuno si tira indietro, perchè tutti ne riconoscono il valore.
"Le “case della parola” nate nei villaggi come luoghi dove discutere responsabilità e conflitti, proprio come in tribunale, in Burkina Faso sono diventati palcoscenici dove raccontare e raccontarsi. La sede africana di quell’agorà, dove il Teatro delle Origini è nato. Un rito sociale antico che noi con il tempo abbiamo dimenticato, lasciando il palcoscenico a forme d’ intrattenimento non sempre di buon gusto".



Il teatro può essere una forma di giornalismo?


Certo, qui si fa teatro per conoscere tutto ciò che è utile sapere, e gli attori e i cantastorie (i griot), in qualche modo diventano miei colleghi. Come m'interessa ritrovare quel “Teatro delle origini” che al di là di ogni luogo comune, stabilisca una rinnovata forma di condivisione della realtà attraverso il racconto e la sua rappresentazione. m'interessa un “giornalismo delle origini”, capace di trasmettere, con sentimento e ragione, nuove e necessarie motivazioni. Da qui nascono i miei reportage teatrali, una forma di giornalismo detto in scena, come se il palco fosse una pagina di un magazine, con contributi fotografici, interviste in video e la giornalista che 'dice il pezzo' guardando negli occhi il lettore.



Quali sono, oggi, gli stereotipi sugli africani in Italia? Ed esistono anche stereotipi al contrario?


I media spesso fanno passare un'immagine che conferma e rassicura su posizioni di ricchezza e povertà. Il bambino nero con la pancia gonfia e la mosca sull'occhio e il bianco grasso e opulento con la sua Range Rover. Certo, questo è uno degli aspetti della realtà ma non l'unico. La seconda parte del mio reportage offre al lettore/spettatore un 'altro punto di vista. Racconto che in tempo di crisi l'emigrazione inizia a invertire le rotte.
I senegalesi incominciano tornare a casa perché il gioco non vale più la candela, gli italiani pensano all’Africa per fuggire da solitudine e povertà. Non sto ovviamente dicendo che gli aerei oggi si stanno riempiendo di italiani in fuga, ma cerco di far riflettere dando voce alle testimonianze di alcuni "emigrati al contrario": insegnanti precari tagliati dalla Gelmini che per sei mesi all'anno fanno imparare a leggere e scrivere ai bambini della spiaggia (i figli dei pescatori), ragazzi in cerca di futuro e socialità che aprono ostelli per viaggiatori zaino in spalla, e a chi con 300 euro di pensione dichiara: 'Ci vuole molto più coraggio a vivere in Italia con la mia pensione che stare in Senegal'. Un pensionato comasco che ho intervistato in un piccolo villaggio di pescatori, nella sede della sua associazione, un punto di riferimento per tutti i bambini di strada, qui possono avere una doccia, abiti puliti, cibarsi, giocare e imparare a scrivere in wolof e in francese. Tra un italiano e l' altro ci sono le testimonianze anche di alcuni senegalesi che dopo anni in Italia hanno deciso di tornare a casa, preferendo qualità di vita rispetto a qualche euro in più in tasca. Dal 2011 in Italia se ne sono andati circa 800mila immigrati , ma anche se i dati non sono mai certi, pare i numero siano destinato a salire.



Il lavoro si intitola Ricchi di cosa e poveri di cosa?: perché questa scelta?

Nel nostro Occidente alla deriva credo sia necessario pensare a una nuova definizione delle parole “ricchezza” e “povertà”, il Pil non può essere l'unica unità di misura; credo sia giunto, da tempo, il momento di chiedersi "Ricchi di cosa e poveri di cosa?", O meglio è questa la vera domanda a cui dovremmo impegnarci a rispondere. In scena dico: "Qui da noi la Festa oggi pare essere proprio finita, non ci resta che imparare a guardare con altri occhi". Il reportage non a caso inizia con il prologo (in video) dedicato a Thomas Sankara, “il Che Guevara africano”, con alcuni estratti del suo discorso sul debito pubblico.




Rai 3 domenica 9 febbraio 2014 ha dedicato la puntata di "Persone" , approfondimento del TG3,  registrata in occasione della messa in scena di "Ricchi di cosa?" all'interno dell'Edge festival Teatro/carcere.

Il link è :


La prossima data di "Ricchi di cosa e poveri di cosa" sarà il 15 marzo allo Spazio Har Baje, via Zuretti 47, nella stessa via dove è stato ucciso un ragazzo africano di 19 anni, per avere rubato un pacco di dolciumi da un chiosco. Abba. Dopo il reading ci sarà una cena africana.

Le nuove storie di resistenza al femminile di Livia Grossi saranno in scena per la prima volta allo Spazio Oberdan, di Milano il 19 marzo ore 20.15. per il festival Sguardi Altrove.