giovedì 3 aprile 2014

Giustizia retributiva e giustizia riparativa (e il saggio di Gherado Colombo)



Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha annunciato un nuovo metodo di cooperazione con il Consiglio d'Europa in materia di emergenza carceri: questo in risposta alla condanna dell'Italia, da parte della Corte europea dei diritti dell'Uomo, per la violazione dei diritti dei detenuti. Entro il prossimo 28 maggio, l'Italia dovrà presentare il pacchetto “svuotacarceri” su cui ancora si sta tanto discutendo. Tra le proposte prese in esame dal governo italiano vi sono: la riforma della custodia cautelare, una depenalizzazione per i reati riguardanti alcune sostanze stupefacenti, il rimpatrio degli stranieri e pene alternative per alcune categorie di detenuti.

Vogliamo ricordare, però che esistono due tipi di giustizia: quella retributiva e quella riparativa.

La prima, la più diffusa, è quella che considera la punizione come la giusta conseguenza al reato e, quindi, pone al centro la trasgressione. La seconda, invece, pone al centro la persona, anche se si tratta di chi ha commesso la trasgressione.

Secondo indagini recenti, la maggior parte dei condannati a pene carcerarie torna a delinquere e invece di essere accompagnata in un percorso di riabilitazione - come prevede la nostra Costituzione - viene rinchiusa e privata dei diritti fondamentali. Mentre, per quanto riguarda le vittime dei reati, chiedono, forse comprensibilmente, solo vendetta.

L'ex magistrato, Gherardo Colombo, nel suo saggio intitolato Il perdono responsabile  (edito da Ponte alle Grazie) riflette su questi argomenti e mette a confronto la giustizia retributiva e quella riparativa. La domanda di partenza è: “Si può educare al bene attraverso il male?” perchè di educazione si tratta o si dovrebbe trattare. Secondo la giustizia di Stato, quella retributiva, la persona viene valutata in base ai suoi comportamenti, buoni o cattivi: la persona in quanto tale non ha alcun valore. La giustizia riparativa, invece, ribalta il punto di vista e considera prioritaria la dignità della persona, di qualsiasi persona, anche del reo. La Costituzione italiana e la Dichiarazione ONU sui diritti dell'Uomo confermano questo, nel momento in cui sanciscono che l'ordine debba essere finalizzato alla realizzazione della persona e non viceversa: secondo tale visione, chi ha commesso un reato deve poter affrontare un percorso di recupero, di inclusione e anche di riconciliazione. I programmi della giustizia riparativa - come ricordato anche in un altro articolo che abbiamo pubblicato su questo argomento - prevedono, infatti, l'incontro e la responsabilizzazione dei rei, delle vittime e dell'intera società. Risulta importante il concetto di responsabilità se si pensa, ad esempio, che in molti casi il detenuto sbattuto in carcere non è del tutto consapevole delle proprie azioni: non sta in carcere per senso di responsabilità profonda, ma perchè costretto e basta. Anche e soprattutto perchè, come dice il Prof. Colombo: “ Le persone seguono le regole non perchè le condividano, ma per evitare la punizione o meritare il premio”.

Infine, il perdono: qualche settimana fa abbiamo pubblicato anche un video di Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, in cui spiega i motivi per cui ha deciso di perdonare gli assassini di suo padre: motivazioni che si collegano allo scritto del magistrato quando sostiene che, alla base di ogni cammino di perdono, ritorni il concetto di “responsabilità”. Il reo deve capire quali siano le conseguenze del male commesso e assumersi la responsabilità della sua riparazione, mentre la comunità deve assumersi la responsabilità di ri-accogliere il reo. E' una sfida, reciproca, che può far crescere e maturare sia come uomini sia come cittadini.