giovedì 15 maggio 2014

Tornare a parlare di Lampedusa, continuare a parlare dei migranti




Lampedusa. Conversazioni su isole, politica, migranti”, edito dal Gruppo Abele, è una lunga intervista che Marta Bellingreri, scrittrice e mediatrice culturale palermitana ha fatto al sindaco di Lampedusa e Linosa Giusi Nicolini che ha presentato, ai gruppi di Camera e Senato, una proposta di legge per far nascere la Giornata della memoria e dell’Accoglienza” dopo il terribile naufragio che ha visto morire nel “Mare nostrum”, ancora una volta, centinaia di migranti.


Abbiamo chiesto anche a un noto giornalista e scrittore di scrivere per noi un pezzo per commentare l'accaduto. Lo pubblicheremo nei prossimi giorni per mantenere alta l'attenzione.



Abbiamo posto alcune domande all'autrice, Marta Bellingreri, che ringraziamo molto per la sua disponibilità.


Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa e Marta Bellingreri, scrittrice e viaggiatrice: com'è stato il confronto sul tema dell'accoglienza dei migranti? Quali le differenze e le similitudini tra i vostri punti di vista?

L'isola di Lampedusa è un'isola siciliana, più vicina alle coste africane che a quelle siciliane. Entrambe, io e Giusi, siamo delle isolane, siciliane, lei lampedusana, io palermitana. Quando ho conosciuto Giusi si occupava di Legambiente Lampedusa, era la direttrice della Riserva Naturale. Lei è sempre stata attiva sull'isola e quando ho messo per la prima volta piede sull'isola nella primavera del 2011, anche io ero un'attivista, non lavoravo allora per una Ong, ero attivista del Forum Antirazzista di Palermo. Il nostro confronto sul tema dell'accoglienza dei migranti è stato diretto e spontaneo fin dall'inizio. Sapevamo l'una dell'altra di essere in prima fila, lei sull'isola, io nel capoluogo siciliano. C'è stata da parte mia immensa curiosità, quella del resto c'era e continua ad esserci nell'ascoltare il punto di vista privilegiato dei lampedusani tutti e dei lampedusani attivi nell'accoglienza. Forse anche lei era curiosa delle mie esperienze in paesi arabi, e ancora di più lo era nell'ascoltare la continuazione delle storie, ossia le storie delle persone transitate da Lampedusa e poi trasferite ancora, che io avevo continuato a sentire. Lo dice pure nell'intervista: non mi interessa sapere solo che lascino l'isola, mi interessa anche sapere cosa succede dopo. Non credo ci siano differenze, forse io a cause dei miei studi ho più interesse a seguire i dettagli di politica interna a paesi arabi e/o africani ed interesse dunque a suscitare attenzione di chi si occupa di accoglienza in Italia.

Lampedusa: simbolo di un'umanità da sempre in transito. Cosa racconta questa umanità di oggi?

Lampedusa è innanzitutto un'isola che ci parla di una parte d'Italia, come altre, dimenticate e che solo all'occorrenza diventa oggetto di uno show televisivo: che si tratti, tristemente, drammaticamente e consapevolmente, di tragedie; che si tratti di altro. Lampedusa chiede dei servizi e delle agevolazioni economiche per alleviare la sua posizione di confine e marginalità: la sua popolazione è la prima a migrare per motivi di studio,salute, lavoro, burocrazia. L'umanità in transito, quella delle popolazioni migranti, ci parla della povertà, della guerra di altri paesi, della forza straordinaria e del coraggio; ci porta la ricchezza e la gioia delle culture che resistono sotto le bombe o in anni di dittatura. Un'umanità che andrebbe ascoltata e lasciata sì transitare ma liberamente.

L'Italia è un Paese culturalmente aperto, pronto ad una società multietnica?

Non riesco a rispondere a questa domanda. In Italia ci sono esempi eccezionali, storie magnifiche di differenze che si integrano, di danze e musiche che si mescolano, di amori che nascono e crescono, di associazioni, librerie, musei, comuni, palestre, uffici, università, bar... insomma luoghi e case che sono sì per me l'Italia aperta, o se si vuole chiamare "multietnica". Forse siamo lontani e queste sono esperienze minori, ma sono esperienze belle, le uniche che cambieranno, per ragioni più demografiche che politiche o culturali, le leggi e l'Italia.

Cosa si dovrebbe cambiare, nella legislazione attuale, per migliorare le condizioni dei migranti e dei richiedenti asilo?

Innanzitutto le condizioni dell'attuale cosiddetta accoglienza. Anzi, prima di pensare che cosa si deve cambiare nella legislazione attuale, bisognerebbe rispettare la legislazione vigente, nazionale e internazionale, in materia di accoglienza, migrazione e asilo. Ogni giorno, in tutta Italia, e in particolare sulle coste siciliane, vengono violate le norme, privando della libertà personale adulti e minori, operando respingimenti sommari e rimpatri collettivi, non segnalando alle autorità competenti minori stranieri non accompagnati, umiliando e torturando persone che hanno come unica colpa quella di viaggiare, pur fuggendo da guerre. I luoghi di cosiddetta accoglienza sono brutti, inospitali, inadeguati, e quando sono belli e nuovi sono isolati da centri abitati, sono sperzonalizzati e spersonalizzanti, spesso gli operatori e mediatori non sono sufficientemente preparati: non parlano nessuna lingua, non hanno studiato o non si sono formati specificatamente. Anche in questo caso ci sono eccezioni straordinarie, persone di cuore e preparate, che grazie a questi ultimi due anni di "emergenza" hanno messo in discussione le proprie previe conoscenze, hanno imparato il bambarà (lingua del Mali) o il tunisino. Credo che nel sistema legislativo attuale andrebbero alleggerite tutte le norme che regolano l'ingresso e la regolarizzazione per favorire l'ingresso regolare senza rischiare la vita; per inserirsi più facilmente nel precario mondo del lavoro e senza discriminazioni; per avere la cittadinanza, per i congiungimenti familiari ecc... Tutto il sistema andrebbe rivisto in un'ottica di vera accoglienza e arricchimento del nostro paese, che non è solo nostro perché ci siamo nati.

E cosa si dovrebbe fare per "non lasciare sola Lampedusa"?


Credo che negli ultimi anni Lampedusa senta una forte vicinanza di una parte della società civile italiana che per attivismo o turismo solidale si sia recata sull'isola. Quello che è ancora insufficiente è l'intervento dello Stato, che si parli di servizi o che si parli di migrazioni. Lampedusa non è o non è più sola, secondo me, semplicemente ci sono dei momenti in cui si ritrova ad esserlo perché i problemi strutturali che non sono stati risolti, scoppiano nei momenti delle tragedie. Lampedusa non è sola se non vuole sentirsi sola e viceversa. Perché tantissime persone stanno scrivendo, animando, proponendo progetti per avvicinarsi all'isola. Dipende poi come l'isola voglia o possa rispondere.