martedì 1 luglio 2014

Aggiornamento Iraq




Cari lettori,

abbiamo rivolto alcune domande alla giornalista Laura Silvia Battaglia, esperta di Iraq e Medioriente, che ringraziamo molto perchè ci aiuta a capire meglio cosa sta accadendo in Iraq in questo periodo.   

Laura Silvia Battaglia è anche reporter e ha realizzato due importanti documentari: Unknown Iraq, vincitore del premio “Giornalisti del Mediterraneo 2013”, e l'ultimo dal titolo The sound of theTigris.                                  




Cosa sta accadendo in Iraq e quali sono i pregressi di questa situazione?

Sta accadendo la federalizzazione/balcanizzazione dello Stato iracheno. Una soluzione pianificata da tempo dagli Stati Uniti, incardinata nell’ordinamento della nuova Repubblica islamica d’Iraq da parte dell’establishment sciita e curdo, incoraggiata da tutti gli attori regionali, come l’Arabia Saudita, che operano affinché il nuovo Iraq, ormai una provincia sciitizzata del vicino Iran, non diventi di nuovo una potenza economicamente dominante come ai tempi di Saddam.

La federalizzazione imposta sarà la conseguenza naturale di una guerra civile per il potere, il petrolio, il denaro, che vede in campo gli iracheni ma dietro le quinte Iran da una parte e Arabia Saudita dall’altra, mentre gli investitori europei, cinesi e russi stanno a guardare, sperando che i loro interessi economici nel fiorente mercato della ricostruzione post-guerra ricevano meno danni e scosse possibili. Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno già provveduto a una parziale indipendenza energetica, sviluppando l’economia verde e il fracking sul suolo statunitense. Chi ha da essere preoccupato, sotto il profilo economico ed energetico, è l’Europa e la Cina.

Se questo vale sotto il profilo geo-politico, va ricordato che l’avanzata di Daesh o Isil (al-Dawla al-Islāmiyya fī al-ʿIrāq wa al-Shām) ha un suo perché e giustificazione. Essa è presentata come una invasione di un gruppo terroristico in area siro-irachena. Il gruppo ha come fine dichiarato la realizzazione di uno stato sovranazionale che ricalchi il Califfato islamico omayyade del 632 dopo Cristo, per intenderci quello dei primi quattro successori “dell’Inviato di Dio”, gli ortodossi rāshidūn. La bandiera che Isil sventola è l’Islam politico di derivazione qaedista e radice sunnita, ma la sua declinazione è completamente distante dai principi coranici. Apparentemente sembra una guerra religiosa, dove ogni miliziano straniero convertito replica nei video propagandistici la sua shahada (professione di fede) e il gruppo incita alla fitna (la realizzazione dell’unità della umma, della comunità islamica), emettendo delle fatwe, delle punizioni per chiunque non segua le direttive dei nuovi “califfi”. Ma questa è la cover religiosa di un progetto politico: l’espansione del potere regionale dell’Arabia Saudita e, conseguentemente, della dinastia wahabita sui Paesi nel Mashrek e del Maghreb che hanno una serie di ricchezze: petrolio, ampi campi desertici per l’addestramento di un nuovo esercito, popolazione senza lavoro, educazione, cibo e diritti, stanca di dittature e bombardamenti e ingiustizie imposti grazie alla mano occidentale.

Se si pensa che gli iracheni sunniti sono stati estromessi dal governo centrale del nuovo Iraq, spesso perseguitati o ghettizati e che la gloria di Saddam nonché il suo esercito non sono mai morti, si comprende perché Daesh/Isil abbia trovato tutti questi consensi al suo passaggio. Per la popolazione, i tagliagola barbuti non sono meglio dei dittatori corrotti.


Quali potrebbero essere le conseguenze sugli equilibri nel resto del Medioriente e nei rapporti con l'Occidente?


Come già detto, gli equilibri son già completamente cambiati. Il nuovo Stato islamico di Daesh ha decretato la morte dell’accordo Sykes-Picot. Se invece vogliamo parlare in termini non geopolitici ma umanitari, la conseguenza è la totale distruzione della complessità culturale del Medio Oriente, la sua ricchezza in termini etnico-religiosi, la naturale e storica tolleranza delle popolazioni locali. Si cancella la terra di Abramo, la culla delle tre religioni monoteiste, tutte provenienti dallo stesso seme. E non lo si fa in nome della Bibbia o del Corano. Lo si fa ancora in nome del petrolio e del potere.



A distanza di 10 anni dalla caduta di Saddam, com'è la quotidianità della società civile? Quali diritti sono garantiti e quali no?


Patrick Cockburn avvertiva in un’inchiesta dell’Independent nel 2009: “La mazzetta in Iraq è uno stile di vita”. Nel 2013/2014 non è cambiato nulla. Secondo il Corruption Perception Index del 2012 l’Iraq è il quinto Paese più corrotto al mondo su 176 ed è il più corrotto in assoluto in Medio Oriente. Qui si paga per ottenere un lavoro, andare dal medico, ottenere il passaporto. E se il cittadino non è in grado di pagare (e non lo è la maggior parte della popolazione) non usufruirà del servizio finché non troverà un altro metodo di pagamento, sotto minaccia. C’è anche l’economia sommersa, a cui parteciperebbe almeno il 70% della popolazione irachena a vario titolo: da chi è impegnato nel mercato nero del petrolio (quantificabile nel 10% del traffico complessivo all’interno del paese e nel 30% verso l’estero) a chi si dedica al commercio illecito di armi e attrezzature mediche ospedaliere; fino a tutti i membri della polizia, ai giudici e ai funzionari corrotti che intascano tangenti e mazzette per i motivi più futili e che costano alle tasche dei cittadini iracheni 4 miliardi di dollari l’anno.


Cosa chiedono, in particolare, i giovani?


Chiedono pace, pace, pace. Una vita normale. Lavoro, non solo presso i Ministeri per i figli delle migliori famiglie sciite e curde. Chiedono buona educazione, scholarships per l’estero. Chiedono di essere cittadini con diritti reali, chiedono servizi. Chiedono di non avere più paura delle bombe e chiedono di uscire la sera. L’unica città dove possono attualmente fare questo in sicurezza è la curda Suleymanyia.

 

Cosa NON viene riportato dalla stampa italiana e occidentale?

Sono anni che l’Iraq è sotto il cono d’ombra dei media. Perché la ricostruzione del Paese e i bilioni di dollari che si possono fare con l’housing, con l’edilizia stradale, il petrolio, la rimessa in sesto di un Paese intero completamente messo in ginocchio da anni di sanzioni e dieci anni di guerra e occupazione ha distratto tutti, colpevolmente, dalle questioni umanitarie. E oggi tutti si stupiscono del fatto che Daesh/Isil abbia successo. Ricordo solo un episodio che vale per tutti: il 28 agosto 2012, 21 persone, tra cui tre donne erano state impiccate in un solo giorno, accusate per reati di terrorismo non provati tramite regolare processo. Erano le ultime sentenze di morte un anno in cui ne sono state eseguite ben 91 e per le quali si era levata la voce solo di Navi Pillay, l’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani. Tra gli oltre 600 detenuti attuali ci sono persone in cella da 7 anni, senza essere mai state interrogate in presenza di un avvocato, senza diritto alla difesa, torturate e costrette a confessare crimini non commessi, a cui le forze di polizia hanno minacciato e violentato mogli e sorelle. In Iraq l’orrore di Abu Ghraib non è mai finito.

                                                                                                                       

Per guardare il trailer de The sound of theTigris e per un ulteriore approfondimento: