venerdì 14 novembre 2014

Più barriere in Europa, più torture in Libia



Abbiamo ricevuto questo intervento, che riteniamo molto interessante, da Todo Cambia e Nuovidesaparecidos che ringraziamo molto. Riteniamo utile condividerlo.




di Emilio Drudi





Barriere sempre più alte a difesa della Fortezza Europa. Un girone sempre più profondo di torture e abusi per i profughi intrappolati in Libia. Dimenticate le lacrime dei familiari e dei superstiti che per un momento sono tornate in primo piano, spenta l’eco degli impegni profusi da politici e istituzioni accorsi a Lampedusa in occasione del primo anniversario della strage, all’indomani di quel “3 ottobre” diventato il simbolo di tutte le tragedie che si consumano nel Mediterraneo e nel Sahara o nei paesi di transito, l’autunno prospetta un futuro ancora più buio per i migranti in fuga dall’Africa e dal Medio Oriente. Nella politica sull’immigrazione c’è in tutta Europa un giro di vite forte, più pesante di quello che si temeva.



Il segnale più evidente è Mos Maiorum, la gigantesca operazione di polizia che, iniziata il 13 ottobre, si protrarrà per due settimane. Promossa dal governo italiano come presidente di turno del Consiglio Ue e coordinata dal ministero degli interni, vede impegnati in tutta Europa, ma in particolare in Italia, ben 18 mila agenti, incaricati di fermare, controllare, identificare, schedare quanti più migranti irregolari e richiedenti asilo possibile. Una retata di dimensioni continentali, che parte di fatto da una presunzione di colpevolezza, quasi a ridare fiato all’idea che “clandestino” equivale a “criminale”. La giustificazione ufficiale è che si vogliono combattere, anzi, stroncare le organizzazioni dei trafficanti di uomini. Ma appare almeno singolare che per combattere i carnefici si colpiscano le vittime. Dimenticando che i rifugiati, tutte le migliaia e migliaia di giovani costretti a fuggire dal proprio paese per salvarsi da guerre e persecuzioni, non possono che essere clandestini. Tanto più se, in mancanza di canali di ingresso legali, l’unica chance, in questa fuga per la vita, è quella di affidarsi appunto ai mercanti di morte che organizzano i viaggi da schiavi attraverso il deserto e le traversate del Mediterraneo sui barconi a perdere. Che fine faranno le migliaia di uomini e donne caduti nella rete non è noto. Ad andare bene, finiranno abbandonati a se stessi, “fantasmi” senza diritti destinati ad affollare ancora di più le baraccopoli e i palazzi occupati abusivamente da altre migliaia di “invisibili” come loro. Per non dire del timore che per molti possa scattare il respingimento: la deportazione verso le coste dalle quali si sono imbarcati o, peggio, nei paesi d’origine da cui sono dovuti scappare.



Più che una operazione di intelligence per “raccogliere informazioni rilevanti per scopi investigativi”, insomma, Mos Maiorum appare un modo per ripulire il territorio da una massa di “indesiderabili”. Nella solita ottica della “difesa dei confini”, sulla quale insiste da anni il ministro Alfano e che trova sempre più sponda in altri governi europei. La scelta di questa mega retata, infatti, non arriva isolata. Quasi tutti gli Stati membri dell’Unione hanno chiuso o stanno chiudendo le proprie frontiere ai disperati che, giunti in Italia, speravano di proseguire verso paesi dove hanno amici e familiari pronti ad aiutarli o dove, più semplicemente, il sistema di accoglienza è migliore. La Francia, negli ultimi mesi, ne ha rimandati indietro oltre tremila; la Svizzera ha cominciato da alcune settimane ad adottare la stessa politica; l’Austria lo sta facendo già da tempo: dai primi giorni di luglio a metà settembre oltre 2.100 migranti “riconsegnati” all’Italia.



E, a proposito di confini, continua la pratica della esternalizzazione: lo spostamento della frontiera europea sulla sponda meridionale del Mediterraneo o ancora più a sud. Proprio il 3 ottobre, a consegnare alla Marina tunisina due nuovi pattugliatori d’altura, costruiti dai cantieri Vittoria di Adria, c’è andato il ministro Alfano. Il ministro degli interni. Non quello della difesa, come sarebbe stato più logico, trattandosi di “questioni militari”. E’ solo un caso? Forse. Ma forse no. I pattugliatori sono le navi ideali per il controllo del mare. Incluse le rotte dei migranti. E’ forte il sospetto, allora, che la consegna di queste navi vada letta come il primo passo di un piano tendente a rinnovare, stringendone le maglie e ampliandone le funzioni, l’accordo bilaterale sull’emigrazione tra Roma e Tunisi firmato nel 2011 dall’allora ministro dell’interno Roberto Maroni. Ad affidare cioè alla Tunisia lo stesso ruolo di “gendarme del Mediterraneo” assegnato fin dal 2009 alla Libia. Sta di fatto che, rientrato in Italia, Alfano ha di nuovo insistito sulla necessità di difendere le frontiere, confermando la fine ormai prossima dell’operazione Mare Nostrum e l’inizio di Triton, il capitolo italiano del programma comunitario Frontex Plus. Ovvero: l’innalzamento di un’altra barriera. Il nuovo progetto di sorveglianza in mare, infatti, si limiterà ad una fascia di poche miglia più larga delle acque territoriali, vanificando così l’unico aspetto positivo di Mare Nostrum che, prevedendo controlli fino ai limiti delle acque libiche, ha consentito almeno di salvare decine di migliaia di vite umane.



Così il cerchio si chiude: retate in tutta Europa e mare molto più insicuro per i migranti. Forse in questo modo ci saranno meno arrivi sulle nostre coste. Solo che ci saranno inevitabilmente ancora più vittime delle circa 3.500 registrate finora dall’inizio dell’anno. Si accentua, insomma, l’indifferenza contro cui si spegne il grido di aiuto che arriva dai profughi intrappolati sulla sponda del Nord Africa. Proprio mentre dalla Libia giungono notizie di soprusi e torture crescenti. E’ il caso del carcere di Abu Wissa, in funzione dal 2009 vicino a Zawya, sulla costa occidentale. Vi sono ammassati, a gruppi di 200 per stanzone, in condizioni che definire degradanti è poco, più di 1.200 detenuti, in maggioranza eritrei ed etiopi, colpevoli solo di essere migranti. Uno di loro, il 16 ottobre, è riuscito a “rubare” una telefonata, mettendosi in contatto con l’agenzia Habeshia: “Non c’è spazio nemmeno per muoversi – ha raccontato – Si respira a fatica. Per disperazione abbiamo accennato a un gesto di protesta, bussando tutti alla porta. E’ stato peggio: siamo stati denudati, frustati e costretti a dormire all’aperto. Molti di noi, in queste condizioni, si sono ammalati. Stanno male, ma nessuno si prende cura di loro. Oggi un ragazzo nigeriano è morto. Quando sono venute le guardie glielo abbiamo detto. ‘Meglio così, ci hanno risposto, tanto farete tutti la stessa fine’… Siamo disperati. Chiediamo che qualcuno ci aiuti”.



Quei profughi sono fuggiti da dittature e persecuzioni. Finiti in mezzo alla guerra di tutti contro tutti che ha gettato la Libia nel caos, molti hanno tentato di rifugiarsi in Tunisia. Al confine si sono presentati stringendo in mano la tessera dell’Unhcr, il Commissariato dell’Onu, che attesta il loro status di rifugiati e richiedenti asilo: “Non è servito a nulla – denunciano – I militari in servizio alla frontiera non ci sono neanche stati a sentire: ci hanno respinto e costretto a tornare indietro. Allora abbiamo pensato di rivolgerci alla Mezzaluna Rossa, ma a Zawya siamo incappati in un gruppo di miliziani, che ci hanno arrestato e gettato nel carcere di Abu Wissa. E’ un lager, dove i detenuti vengono torturati. Soprusi e maltrattamenti sono diventati il passatempo delle guardie, che ridono e si divertono mentre noi urliamo per il dolore. Va avanti così da mesi…”.



Il carcere di Misurata, allestito nel 2009 nell’ex scuola di Bilqaria, è un altro girone infernale. I 400 detenuti sono tutti eritrei. Tra loro, 50 donne e 18 bambini. Gli uomini sono stati spesso sequestrati e costretti dai miliziani a trasportare munizioni e rifornimenti, durante i combattimenti tra le varie fazioni, fin sulla linea del fuoco. Sono rimasti feriti a decine, alcuni sono stati uccisi. Di circa 200 non si ha più notizia da quando li hanno portati via come ausiliari schiavi.



Don Mussie Zerai, il sacerdote eritreo presidente dell’agenzia Habeshia, trattiene a stento l’indignazione: “E’ assurdo. L’Europa continua a restare sorda, insensibile alle grida di aiuto che arrivano ogni giorno da questi giovani. Anzi, ora lancia Mos Maiorum per arrestare chi, nonostante tutto, riesce a sbarcare, fuggendo dall’incubo che è diventata oggi la Libia. Pensa solo ad alzare muri per non sentire, lasciare al di là, la disperazione che sale dal Sud del mondo. Ecco perché continua a militarizzare il Mediterraneo: per impedire che gli ‘ultimi della terra’ giungano a bussare alle sue porte. Allora bisogna dar voce a chi oggi non ha voce: gridare noi per loro, all’interno della Fortezza Europa, finché i governi, tutte le istituzioni, non decideranno di ascoltare. Siamo di fronte a una catastrofe umanitaria senza precedenti: l’unico modo per cercare di risolverla è quello di aprire le ambasciate in Africa alle richieste di asilo, istituire corridoi di accesso legali, rilasciare visti per motivi umanitari, ricongiungimento familiare, asilo politico. Lanciamo l’ennesimo appello, in questo senso, a tutte le cancellerie dell’Unione”.



Analisi e prese di posizioni analoghe sono state pubblicate in questi giorni anche da organismi qualificati come Amnesty International o l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che, partendo dalla triste, terribile “conta dei morti”, chiedono all’Unione Europea e a tutti gli Stati membri una svolta radicale nelle politiche di accoglienza e nei programmi di soccorso. Contestatissima in particolare, da parte di Amnesty, la scelta abbinata di varare le retate di polizia di Mos Maiorum e di chiudere contemporaneamente Mare Nostrum senza alcun valido progetto “salvavita” alternativo. Mentre Fulvio Vassallo Paleologo, docente all’Università di Palermo, annuncia per conto dell’Asgi l’avvio di un programma di controllo, denominato non a caso Ius Maiorum che, in collaborazione con il gruppo Medici per i diritti umani (Medu), presenterà alle corti di giustizia e alle istituzione un rapporto sui soprusi subiti dai migranti al termine di Mos Maiorum. Soprusi, fa notare Fulvio Vassallo Paleologo, cominciati già prima dell’inizio ufficiale dell’operazione, accentuando il carattere detentivo dei centri accoglienza per costringere i migranti a farsi identificare o addirittura respingendo alla frontiera dei richiedenti asilo, come è accaduto a un gruppo di profughi siriani all’aeroporto di Crotone. “Lo stesso Frontex – rileva Vassallo Paleologo – si è di fatto ‘sfilato’, chiarendo che intende partecipare soltanto come osservatore. Mos Maiorum rimane così un’operazione coordinata dal ministero dell’interno italiano, forse il frutto più visibile (e avvelenato) di tutto il semestre di presidenza europeo in materia di immigrazione”.



“Tutto lo sforzo europeo – aggiunge don Zerai – si concentra ancora nei programmi per ‘chiudersi’. Con l’unico risultato di favorire i trafficanti che lucrano su tanta gente disperata, proponendo vie illegali, molto costose ed estremamente pericolose, per raggiungere l’Europa, come dimostrano le migliaia di vittime degli ultimi anni. Spesso si obietta che non ci sono risorse economiche per una politica di apertura. Ma non può essere una questione di spese: offrire soluzioni legali e protette, peserebbe sui bilanci pubblici molto meno di tutti questi meccanismi di difesa che si stanno mettendo in atto. Alzare muri non è la soluzione: non salva vite umane, non ridà la dignità calpestata ai profughi, non serve nemmeno a contenere il flusso crescente di immigrati. Meglio allora spendere il denaro profuso nella lotta all’immigrazione in interventi di accoglienza e in politiche volte a dare sviluppo e diritti nei paesi d’origine e di transito dei migranti. Perché nessuno sia più costretto a scappare. Non c’è altra via per vincere questa battaglia”.