lunedì 29 dicembre 2014

Confronti mediterranei di donne



di Ivana Trevisani



Quando uno sguardo di donna scruta il mondo, sempre si posa sulla vita, anche se la realtà a cui guardare è quella belligerante dei conflitti armati e degli scontri esplosivi tra diversità rese irriducibili.

Ed quanto ancora una volta si è realizzato a Milano lo scorso novembre, all'incontro “Sguardi di donne sui fondamentalismi e i conflitti in medio-oriente”, nello scambio di riflessioni tra le donne al tavolo di relazione: la cooperante italiana Irene Viola, l'operatrice sociale libanese Tamara Keldani, la Tunisina Ouejdane Mejiri da anni in Italia, insegnante al Politecnico di Milano e la Siriana Souheir Katkhouda, da vent'anni in Italia presidente delle donne musulmane d'Italia.

Ognuna di loro, nonostante il titolo, ha scelto di parlarci delle pratiche di vita che le donne stanno comunque agendo nei luoghi associati ormai soltanto, nei media e nell'immaginario collettivo occidentali, ad azioni di morte.

Certo queste donne, da sempre attive nel politico sociale dei loro Paesi e in Italia, non hanno ingenuamente rimosso la questione della violenza dilagante, ma l'hanno riletta nel registro dell'articolazione piuttosto che in quello del giudizio sbrigativo.

Così Viola, con il video dell'agricoltrice libanese Elham fiera dello sviluppo della sua attività agraria, ci ha riportate alla straordinaria potenza delle donne per l'amore e la cura della terra, che dà vita ed è amore per il mondo.

Keldani da parte sua, attraverso la restituzione di senso del lavoro, soprattutto nelle zone rurali del Libano, con la sua associazione Les Amis des Marionettes, ci ha rivelato come agendo attraverso il simbolico di giochi di ruolo sia stato possibile radicare nei vissuti di ragazzi e ragazze partecipanti ai laboratori sulla differenza sessuale, il senso e il valore di tale differenza e la potenza dell'essere donna.

Muovendo dalla consapevolezza degli delle adolescenti coinvolti nel progetto, di rimbalzo nel quotidiano delle comunità ha potuto guadagnare spazio e consolidarsi il riconoscimento concreto e non solo di convenzionale adesione alla tradizione, certezza che la donna è il pilastro della famiglia e che reggendo l'equilibrio della famiglia può contribuire all'equilibrio dell'intera società. Restando a tema, quanto alla piaga dei matrimoni precoci, indistintamente tutte tutti gli allievi delle scuole coinvolte dai laboratori, hanno saputo indicare il danno sociale di una pratica che non permettendo alla madre troppo precoce di sviluppare appieno il senso di sè, non le consente di educare con pienezza i figli, trasmettendo loro il sentimento della propria identità. E poichè la questione dell'identità è un problema di non poco conto nel tessuto frammentato, lacerato, interrotto dell'attuale società libanese, ne consegue l'enorme portata del guadagno trasmesso per genealogia femminile di quel senso di identità e radicamento a sé che consente di eludere le spinte a derive identitarie totalitarie.

A seguire Katkhouda, riportando il suo impegno non solo nel “soccorso” e nell'accoglienza dei suoi, delle sue connazionali in fuga dalla Siria, ma anche e forse soprattutto, stante il sistema informativo del nostro Paese, nel persevante, instancabile lavoro di presenza-testimonianza in ogni occasione possibile, per ricordare a un pubblico disattento e male informato, la tragedia che nel suo paese d'origine sta continuando a consumarsi e a consumare le vite di un intero popolo, ci ha restituito intera la sua potente autorevolezza. Kathouda, presidente delle donne musulmane in Italia, non ha dissertato su veli, arroccamenti o strumentalizzazioni religiose, ma ha detto di sé, di come sta nel mondo, ci ha testimoniato del suo infaticabile impegno ad aprire sempre più fessure nel silenzio che uccide, anche più delle armi, quello che continua a sentire come il suo popolo.

Per concludere, Mejri con il suo intervento ha con forza sottolineato la realtà, pressochè ignorata dal sistema mediatico italiano, dell'agire positivo delle donne al centro del ritrovato protagonismo dell'intera società civile tunisina. E' stato soprattutto il protagonismo delle donne, ha voluto ribadire Mejri, ha sostenere il processo di partecipazione sociale alle ultime tornate elettorali, le parlamentari prima e le presidenziali successivamente, che ha consentito l'evoluzione politica di avvicendamento ad Ennhada, il precedente governo di impronta religiosa, del nuovo governo non religiosamente orientato. Non solo la presenza attiva delle donne, ma l'intero processo di alternanza che hanno saputo sostenere sono stati solo sfiorati dal nostro sistema mediatico, forse troppo allineato alla “dittatura del pensiero occidentale”, condivisibili parole di Mejri.

Che la positività sia la cifra dell'agire delle donne non è un miraggio, ma è possibile riconoscerla solo se si apre lo sguardo, se oltre l’evidenza si accetta di entrare nel profondo delle vicende dove le donne si giocano, scoprendo da dove nascono e verso dove procedono.

Cogliere la forza e l'eccellenza femminile è possibile a patto di affinare la capacità di ascolto necessario e prepararsi a uno sguardo più attento, di aprire la disponibilità autentica “a guardarci l’una con l’altra, a restituirci vicendevolmente l’immagine della nostra eccellenza, a riconoscere la loro e la nostra”, per dirlo con le parole della filosofa Diana Sartori, all'incontro non in presenza ma in pensiero, e “saper fare da specchio all’altra, lì in quel che sta facendo lei, come noi” pur nelle diversità di eccellenza di donna, consente di riconoscere lei e noi stesse.

Per scostarsi dai luoghi comuni e dai pre-giudizi che le vogliono e vedono unicamente oscure donne schiacciate da guerre maschili e da veli imposti, e che le rendono di fatto evanescenti, le donne dell'altra sponda del Mediterraneo in questo incontro, per dirsi e dirci di sè hanno scelto di eludere la contrapposizione e preferito offrirci la proposta di esperienze e pratiche concrete di vita, vissute in proprio o verificate in altre e affermare come Hanna Arendt sosteneva, che non si è liberi da una condizione data, ma si è libere nell'apertura di senso di quella condizione.

Le considerazioni esposte dalle relatrici, accompagnandone le narrazioni hanno voluto ricordare come le potenti storie di donne offerte, più comuni di quanto si voglia o possa credere in Occidente, ci possono insegnare a spostare la prospettiva di lettura, a non concentrarsi sul dolore ma a proiettare uno sguardo diverso sulla tragedia, per trovarci comunque la vita.

Coniugando le testimonianze dipanate dalle donne nel corso dell'incontro con le parole della riflessione di Sartori è plausibile concludere che in questa urgenza presente, quando la misura maschile mostra la sua incapacità a fare ordine, e quella femminile in questo passaggio si pone come ordinatrice di realtà” si può ri-trovare la vita: nella parola, nello sguardo, nelle pratiche, nella misura di donna e “finalmente si pone la questione di quale è la misura in un mondo davvero comune”.

Ciascuna a partire da sé e tutte indistintamente, sempre usando le sue parole, hanno voluto e potuto ancora una volta ricordarci che “se non sapremo esporci al mondo come misura, il mondo non avrà misura”.