lunedì 1 dicembre 2014

Padrone bravo: lavoro e migranti sfruttati


 



Cari lettori abbiamo intervistato Maura Muneretto della cooperativa Parsec che ha prodotto, con il contributo del Dipartimento per le Pari Opportunità, il documentario intitolato Padrone Bravo di Simone Amendola: un lavoro che tratta un tema, purtroppo, di grande attualità.

Ringraziamo la cooperativa e il regista per quest'analisi.



Il documentario nasce da un progetto della cooperativa Parsec con i migranti sfruttati nel mondo del lavoro: ci può illustrare il progetto e come si è sviluppato?



Il documentario Padrone Bravo è stato realizzato a partire dalle attività che la Cooperativa Parsec porta avanti sul tema della tratta e del grave sfruttamento lavorativo fin dal 2006. Tali attività si sono avviate con il progetto Right Job finanziato dal Dipartimento per le Pari Opportunità, con i fondi previsti dall’art. 18 del Testo Unico sull’immigrazione, e mirato alla realizzazione di programmi di assistenza e integrazione sociale per le vittime di tratta e sfruttamento.

Nato come progetto sperimentale, Right Job è stato, nei 5 anni di attività, l'unico intervento specificatamente rivolto alla prevenzione e al contrasto del grave sfruttamento lavorativo nel territorio della Regione Lazio. Esso ha permesso la realizzazione di percorsi di protezione sociale che hanno consentito la fuoriuscita dal circuito dello sfruttamento di decine di vittime ma, soprattutto, ha contribuito a tracciare una strada e a sperimentare delle buone pratiche riproducibili, costruendo una rete di soggetti più consapevoli e responsabilizzati nel riconoscere e contrastare il fenomeno.

Due sono state le principali azioni del progetto: attività di intercettazione ed emersione di potenziali vittime del grave sfruttamento lavorativo nella Regione Lazio e presa in carico delle vittime riconosciute, al fine dell’ingresso nei programmi di protezione sociale.

A questo va aggiunta una costante attività di indagine e monitoraggio sul fenomeno del grave sfruttamento lavorativo nella Regione Lazio e la pubblicazione di una ricerca1 dal titolo "Right Job - Lavoro senza diritti. Tratta e sfruttamento lavorativo degli immigrati a Roma e nel Lazio".

A partire dal 2011 il progetto Right Job è stato inglobato all’interno di progettazioni più ampie e attualmente sonno attivi i progetti “Fuori Giogo” e “Si tratta di Me” finanziati ai sensi dell’art.13 L.228/2003 (Legge sulla tratta) e dell’art.18 D. Lgs 286/98.



Le istituzioni italiane si stanno occupando del fenomeno della tratta e dello sfruttamento?



Grazie all’Art. 18 del Testo Unico sull’immigrazione l’Italia è senza dubbio all’avanguardia per ciò che concerne la repressione del fenomeno della tratta e, allo stesso tempo, la protezione delle vittime. Nonostante questo negli ultimi anni si è arrivati a una contrazione dei fondi che ha messo a dura prova la tenuta del sistema stesso. Il Governo infatti, da tempo ha avviato una politica di disinvestimento, in termini di risorse finanziarie e umane, sui servizi attivati nel corso degli anni. A questo va aggiunto che la mancata approvazione del Piano nazionale anti tratta, che doveva avvenire per disposizione di legge entro la fine di giugno 2014, ed il mancato rispetto degli altri termini stabiliti dal D. Lgs. 24/14, per l'approvazione di provvedimenti che dovrebbero consentire lo sviluppo dei progetti di tutela delle vittime, oltre a palesare l'inadempimento del Governo di obblighi di carattere internazionale - così come rilevato dal Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa (GRETA)2 - evidenziano il completo disinteresse per un tema cruciale ed estremamente preoccupante.

Attualmente, a causa della mancata approvazione del piano antitratta, i progetti stanno proseguendo attraverso proroghe di 6 mesi che contribuiscono a minare il lavoro svolto negli anni e non permettono una progettualità a lungo termine.



Nel film parlano i migranti/lavoratori indiani: può anticiparci quali fossero le loro aspettative (poi disilluse)? E come si svolge la loro quotidianità?



L'area geografica in cui è stato realizzato il documentario è il territorio, a forte vocazione agricola, di Latina e della sua Provincia: Terracina, Fondi, Borgo Hermada, San Vito, Bellafarnia, Sabaudia.

In questi luoghi sono impiegati, in maniera regolare, circa 10.000 lavoratori indiani, provenienti dalla regione del Punjab, ma si stima che altrettanti siano impiegati in maniera irregolare e che, durante i picchi di produzione stagionali questo numero aumenti ulteriormente. Il documentario, sotto forma di racconto, da voce direttamente a quella parte di lavoratori impiegati in condizioni di sfruttamento, provando a renderne visibili le condizioni di vita e di lavoro caratterizzate da emarginazione, isolamento e sfruttamento.

Nel momento in cui si intraprende un viaggio così lontano dal proprio paese di origine, chiaramente le aspettative sono molto elevate e riguardano la possibilità di migliorare la propria vita e la vita della propria famiglia, dal punto di vista economico e sociale. In realtà, la loro condizione di bisogno, determina uno sfruttamento che ha inizio già prima del loro arrivo in Italia. Molti di questi lavoratori, infatti, pagano grosse cifre (dai 5.000,00 agli 8/10.000,00 €) nel loro paese per ottenere un visto come lavoratore stagionale. Per fare ciò la famiglia vende tutto quello che ha, spesso contraendo un debito, certa che con il lavoro in Italia tale debito si possa estinguere in breve tempo. Una volta entrati nel nostro paese, l’intermediario – connazionale – richiede spesso ulteriori somme ed in ogni caso il datore di lavoro italiano non procede all’assunzione. E' chiaro che molte di queste persone, entrate con regolare visto in Italia, non venendo assunte da nessuna azienda, diventano immediatamente irregolari e dunque entrano nelle maglie dello sfruttamento di manodopera a basso costo.

Nei periodi di picco produttivo stagionale i braccianti arrivano a lavorare anche 13-14 ore al giorno, con una paga che può andare dai 3 ai 4 € all'ora. Molti non percepiscono il salario per parecchi mesi e poi vengono mandati via in malo modo.

Nella maggior parte dei casi essi non si percepiscono come vittime di sfruttamento e rimangono indignati solo di fronte agli stipendi non percepiti ma non di fronte a orari e condizioni di lavoro disumani.

Una consistente parte di essi vive in condizioni alloggiative e igienico sanitarie molto precarie: alloggi desueti ed abbandonati, privi dei servizi igienici ed in taluni casi anche degli allacci a luce e gas, situati presso gli stessi campi dove si trovano le serre e le colture; altri condividono con i connazionali case affittate nei paraggi dei campi in cui si lavora, spesso in situazioni di sovraffollamento; una parte di loro vive, invece, in baracche o camper.

La condizione di irregolarità e la precarietà condivisa e generalizzata in cui vivono comportano, oltre al rischio di cadere nelle reti dello sfruttamento, anche l’isolamento sociale, l'emarginazione e la non integrazione nel territorio. In queste situazioni di particolare marginalità sociale lo sfruttamento plasma l’intera esistenza, condizionando ulteriormente ogni possibilità di relazione con l’esterno.

Gli unici spazi che consentono la socialità, soprattutto la sera dopo il lavoro nei campi, sono i negozi alimentari gestiti da connazionali oppure gli spiazzi aperti nei dintorni delle abitazioni. Infine, luoghi di ritrovo e aggregazione sono indubbiamente i vari templi Sihk presenti sul territorio, dove la domenica, giornata della celebrazione religiosa, si ritrovano dai 200 a ai 400 indiani.



Può riportaci anche alcune delle considerazioni dell'insegnante, dell'avvocato e del sindacalista che avete intervistato?



Una considerazione comune è legata al fatto che la maggior parte dei lavoratori indiani di cui il documentario parla e racconta, si colloca in quell’area grigia che sta tra il lavoro nero e il grave sfruttamento e che, proprio per questa collocazione ibrida, non può accedere alle tutele proprie del Programma di Assistenza ex art.18 D.Lgs 286/98. Tale programma infatti prevede che vi siano degli indicatori ben precisi di sfruttamento per potervi accedere. Questa difficoltà di applicazione dell’art.18, associata alla mancanza di qualsiasi altro tipo di tutela, aumenta la frustrazione e il senso di impotenza di chi, come l’avvocato o il sindacalista, cerca di trovare una soluzione che porti all’affrancamento dallo sfruttamento per queste persone.

L’insegnante di italiano riporta invece come, nonostante l’accesso ai corsi sia garantito a tutti, essi siano frequentati in particolare dai ragazzi più giovani e spesso solo da chi possiede un regolare permesso di soggiorno. Ciò accade perché molte persone irregolari hanno paura dei controlli, non si fidano e tendono a stare lontani da situazioni che potrebbero metterli nella condizione di essere intercettati. Chiaramente questo contribuisce all’esacerbarsi dell’isolamento sociale e dell’emarginazione di cui si parlava sopra.