domenica 25 gennaio 2015

Difret: il film che omaggia le donne etiopi






Dal 22 gennaio nelle sale cinematografiche italiane, Difret – Il coraggio di cambiare parla di diritti e di donne, di forza e di violenza.

Hirut è una ragazza di quattordici anni, una studentessa che vive in un villaggio alle porte di Addis Abeba ed è la seconda di tre sorelle. All'uscita da scuola, un giorno come un altro, viene aggredita da un gruppo di uomini a cavallo: uno di loro la violenta perchè ha deciso di prenderla in moglie.

Hirut, nonostante la violenza, afferra un fucile e spara, uccidendo Tadele, l'uomo che ha abusato di lei. Il destino di Hirut si sovrappone a quello della sorella maggiore rimasta vittima, in passato, di un'atroce tradizione, quella della “telefa”, il sequestro di una giovane donna come rituale per il matrimonio forzato.

Ma la sofferenza della protagonista (la parte è recitata da una ragazza del posto che ha seguito un workshop di preparazione per le riprese del film) non termina con l'uccisione del suo aggressore, anzi: verrà portata davanti a un tribunale con il rischio di essere condannata a morte per il reato compiuto.

Questa la trama del racconto filmico. Ma il racconto è tratto da una storia realmente accaduta nel 1996: il regista, Zeresenay Berhane Mehari, ha scelto di portarla sul grande schermo per porre al centro dell'interesse pubblico la questione delle tradizioni tribali, della violenza di una cultura patriarcale, della mancanza di una cultura e di una educazione sanitaria e della coscienza di sé da parte femminile in alcuni Paesi del mondo. Mehari ha studiato cinema negli Stati Uniti, ma è nato e cresciuto in Etiopia; il suo, quindi, è uno sguardo “da dentro”, non superficiale e che rende il risultato cinematografico realistico e sincero. Pensiamo, ad esempio, alla sequenza di apertura: si parla di un caso di violenza domestica, per entrare subito in argomento. Una donna, Meaza, si trova in prima linea per difendere i diritti di un'altra donna che ha deciso di sporgere denuncia contro il marito. Il regista segue la vittima fin sul luogo di lavoro del coniuge, dove lo affronta, circondata da altri uomini, con coraggio e fierezza. Interessante anche il personaggio dell'avvocatessa: Meaza Ashenafi non è solo un personaggio di finzione, ma è un legale di Addis Abeba che ha creato una rete di sostegno per donne e bambine maltrattate e che necessitano di assistenza gratuita. Con la sua associazione, ANDENET, si batte ogni giorno per difendere i diritti dei più deboli.

Il regista e l'avvocatessa realizzano un'opera genuina, attenta ai volti delle persone inquadrate, testimoni e vittime di forti ingiustizie, spesso lacerate dalla dicotomia tra rispetto per la tradizione e diritto alla vita. Ma l'epilogo regala una speranza seppur amara: Hirut, protetta fino a quel momento all'interno di un istituto per ragazzi abbandonati, scende da un'auto e fa ritorno alle proprie radici, ripresa di spalle e in mezzo alla folla, mentre una barca sta affondando...