lunedì 20 aprile 2015

Confessioni di un trafficante di uomini: cosa c'è dietro agli sbarchi e ai naufragi




Ancora una triste, tragica occasione per parlare di politiche migratorie errate. Ripubblichiamo la nostra intervista a Paolo Musumeci, autore dell'inchiesta e del libro intiolato “Confessione di un trafficante di uomini”, per Chiarelettere.








Confessioni di un trafficante di uomini è il titolo di un libro-inchiesta (edito da Chiarelettere) in cui gli autori, Andrea Di Nicola e Giampaolo Musumeci, hanno percorso le principali vie dell’immigrazione clandestina, dall’Europa dell’Est fino ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo per scoprire cosa e chi dirige i viaggi della “speranza” di tutti quei migranti che sono costretti ad abbandonare i propri luoghi d'origine: si racconta di soldi, di un network di trafficanti, di una vera e propria organizzazione criminale. La testimonianza dei protagonisti conduce il lettore in un mondo parallelo che nessuno conosce, nemmeno le istituzioni. O forse sì.




Come siete riusciti a reperire il materiale per questo libro-inchiesta?




E' stato un lavoro di due anni e mezzo che ha fatto tesoro anche degli anni precedenti. Gli anni precedenti miei, perchè dal 2006 ho lavorato sulle rotte dei migranti come fotografo; Andrea Di Nicola, che è criminologo, studia il traffico di persone.

Ci occupiamo di snubbing che - a differenza del trafficking che rieccheggia il termine “tratta” - sarebbe il “contrabbando” di persone: lo scafista, dietro pagamento, mi consente di passare le frontiere irregolarmente. Abbiamo lavorato su due binari: quello giudiziario (studio di atti processuali e interviste in carcere ad alcuni scafisti) e poi il viaggio (in Italia, Francia, Egitto, Tunisia, Libia) per incontrare trafficanti a piede libero. Ci siamo presentati come giornalisti e non è stato facile perchè non è facile far parlare un criminale; il criminale ti racconta la SUA storia, la SUA verità, ma resta valida come testimonianza. E' comunque la prima volta che si indaga in questo mondo nascosto.





Come avviene il “contatto” tra migranti e trafficanti?




E' molto semplice: noi, nel libro, utilizziamo la metafora dell'agenzia di viaggi. Un trafficante che abbiamo incontrato in Egitto ha una rete commerciale, una serie di agenti, di ragazzi “svegli, ma non troppo”, come dice lui. Devono, cioè, essere efficienti, ma non devono fare domande. Questi ragazzi intercettano la domanda di emigrazione, poi mettono in contatto le persone con il trafficante il quale le fa passare tra Egitto e Libia e li mette nelle mani dei libici che li fanno salire sui barconi. Lui è un collettore, ha la sua forza vendita sul territorio: in ogni villaggio ha un suo uomo e, quando uno di loro chiama perchè ci sono persone pronte a partire, inizia ad organizzare la macchina o il furgone. Quando ne ha 5, 10, 20 si mette d'accordo con i colleghi che stanno sulla frontiera tra Egitto e Libia, corrompe eventualmente le polizie e fa arrivare i migranti ai porti.

I trafficanti sono imprenditori senza scrupoli e con grandissime abilità. Il Mediterraneo vale centinaia di migliaia di euro per queste organizzazioni e noi dobbiamo capire questo per comprendere l'entità del problema e prendere le decisioni corrette: arrestare cento scafisti non serve a niente perchè la rete non viene smantellata. Anche il pattugliamento e la chiusura delle frontiere non serve a nulla perchè i trafficanti fatturano anche di più in quanto la rotta diventa più lunga e i migranti pagano di più.

Come fanno i trafficanti a sfuggire ai controlli? Si può parlare di una vera e propria mafia?




Il termine “mafia” è molto usato dai migranti stessi: due anni fa ero al confine tra Grecia e Turchia per fare un servizio su Frontex e i migranti mi dicevano: “Do you know mafia?, Do you know agent?”, gli agenti, la mafia per loro sono i trafficanti. In realtà non ha niente a che vedere con la mafia nostrana, nel senso che non c'è una cupola, una regia unica, ma sono tante organizzazioni transnazionali, sono tante reti.

Un grosso trafficante, a Il Cairo, ci ha detto che non c'è un leader, uno più bravo degli altri, ma che sono in tanti e che si aiutano tra di loro. Uno scafista, invece, ci ha detto che loro sono i “facebook” dei trafficanti, tanti nodi di una rete e, a volte, i rapporti sono di natura tribale, a volta di natura amicale...Il nostro tentativo è stato quello di rifare la “filiera” a ritroso, per andare alla fonte.

I trafficanti riescono sempre a sfuggire ai controlli. Quando un trafficante è di base a Karthoum, come fa un poliziotto italiano ad intercettare il suo telefono? Con quale banda armata parliamo in Libia, se vogliamo arrestare qualcuno? Sono tante reti, sono troppi e non c'è collaborazione a livello internazionale, alcuni Paesi non collaborano. Lo scafista è il pesce piccolo ed è rimpiazzabilissimo. Molti scafisti non sanno nemmeno per chi lavorano e alcuni grossi trafficanti subappaltano il viaggio dei migranti.


Cosa occorerrebbe, a livello di politica italiana e internazionale, per bloccare il traffico di persone?




Parlo anche a nome di Andrea perchè la pensiamo allo stesso modo. E' impensabile che dei richiedenti asilo si mettano nelle mani dei trafficanti. Si potrebbe pensare, per esempio, a un cordone umanitario, oppure si potrebbero usare i traghetti di linea o le navi da crociera perchè il viaggio costerebbe anche meno (questa è una proposta fatta da un vescovo...).

Abbiamo capito che la chiusura delle frontiere europee serve solo ad alimentare il traffico: potrebbe, invece, funzionare il dialogo tra Paesi per cui, se io so che c'è un grosso trafficante turco, devo poter parlare con le autorità turche...So che qualcosa in questo senso si sta muovendo perchè un magistrato con cui abbiamo parlato, era a Istanbul un paio di mesi fa e stava cercando di rafforzare la cooperazione internazionale con quel Paese.

Ricordiamoci anche che l'immigrazione è la più formidabile leva politica che ci possa essere, uno dei temi più strumentalizzati: forse l'Europa non fa abbastanza nella prima accoglienza, però la Germania, la Norvegia, l'Inghilterra accettano la maggior parte delle richieste di asilo. I migranti non rimangono da noi, quindi non si deve gridare all'emergenza perchè questa è la barzelletta italiana. Oltretutto, non esiste solo Lampedusa in Italia: la maggior parte dei migranti arriva a Fiumicino con un passaporto falso oppure passano da Trieste, dalla rotta balcanica.

Il nostro libro serve proprio a cambiare la prospettiva: quello del traffico di persone non è un affare improvvisato, ma è un'organizzazione enorme che ricicla denaro e l'Europa sta mettendo in atto risorse che non sono adeguate.