martedì 26 maggio 2015

Ritratto di famiglia con bambina grassa: un inno alle donne, di ieri e di oggi


Pubblicato da Mondadori, Ritratto di famiglia con bambina grassa, della scrittrice e giornalista Margherita Giacobino, è subito diventato un successo. Maria, la madre amatissima, astro nel cielo dell'infanzia, e il padre Gilin, l'uomo di vento; Michin, la caustica e brillante prozia zitella, mai conosciuta ma vicina come una gemella d'anima; e poi Polonia, la zia ostetrica dolce e gaudente... Ma soprattutto c'è magna Ninin, la zia con cui Margherita è cresciuta, brusca e brontolona, sempre presente e insostituibile, «l'origine e l'archetipo. Ninin l'instancabile, Mulier Fabricans». Sì, perché Margherita Giacobino, classe 1952, è cresciuta in una famiglia di donne, e sente più che mai vive le proprie radici silenziose e forti. Nel ripercorrere le ramificazioni della propria famiglia, attraversa oltre un secolo di storia italiana: dalle campagne del Canavese alla fine dell'Ottocento alla Germania in cui il padre viene fatto prigioniero durante la Seconda guerra, dal boom economico fino a oggi. Seguendo le tracce della propria infanzia con l'attenzione e la cura di un archeologo, interroga i suoi familiari, li racconta, ridà loro vita con afflato lirico e acume antropologico, con una scrittura magistrale, con nostalgia e ironia. Con infinito affetto. Perché solo tramite chi ci ha preceduto possiamo arrivare a conoscerci davvero.



L'Associazione per i Diritti Umani ha intervistato per voi Margherita Giacobino. La ringraziamo molto per queste sue parole.





Nel suo ultimo lavoro racconta la storia della sua famiglia tutta al femminile: c'è complicità, oggi, tra le donne?


Nel mio ultimo libro, Ritratto di famiglia con bambina grassa, parlo di una famiglia, la mia, in cui le donne erano molto unite, lavoravano insieme e si aiutavano. Non una famiglia idilliaca, ma una in cui ci si voleva bene e ci si dava riconoscimento a vicenda. Questo è stato molto importante per me, mi ha permesso di fare delle scelte libere nella vita, sentendomi sostenuta dai miei, soprattutto da mia madre.

La parola complicità secondo me non è quella che meglio esprime ciò che mi piacerebbe ci fosse tra donne, cioè la capacità di riconoscersi e sostenersi a vicenda - ma anche di criticarsi, di discutere quando è il caso. Riconoscere alle altre una forza, dei risultati, dei successi, e anche degli errori - essere in grado di parlarne insieme e di insegnarsi qualcosa a vicenda, scambiarsi affetto e buonumore quando si può - (non sempre) - questo sarebbe bello. Attualmente accade solo in parte, credo purtroppo in minima parte. Molte donne sono, ora come in passato, intente a proteggere e salvaguardare un qualche uomo, e a considerarsi insufficienti e incapaci di costituire per se stesse e per le altre delle interlocutrici degne di ascolto. Un grande spreco.



La storia personale è intrecciata alla grande Storia: quali sono le tappe principali del percorso che ha tracciato nel libro, soprattutto in termini di diritti negati o acquisiti?




Nella storia della mia famiglia (che comincia molto prima che io nascessi, a fine Ottocento) ci sono dei momenti di conquista di libertà e diritti, come quando la mia prozia, che all’epoca è una bambina di 12 anni, scende in città dalla montagna per andare a lavorare in fabbrica, sottraendosi così all’autorità e al controllo della famiglia paterna, e aprendo la strada all’emancipazione delle sorelle e della madre. Per me è stato soprattutto importante segnalare come le scelte di dignità e di indipendenza personale fossero collegate al lavoro, e alla possibilità di disporre del proprio denaro, cosa che non era affatto scontata per le donne. Anche il non sposarsi poteva essere, e per le mie zie è stata, una scelta di libertà, in un’epoca in cui il matrimonio era ancora un’istituzione fortemente patriarcale. E poi un’altra tappa importante è stata, per mia madre, la separazione legale in una situazione in cui i debiti di suo marito mettevano in pericolo la sua attività, il suo futuro e il mio. Anni dopo, mia madre ha fatto propaganda tra le sue conoscenze per la legge sul divorzio, e più tardi (scandalizzando molte persone del paese) per quella sull’aborto.



Si può affermare che con questo romanzo, come nelle altre sue opere, vengano affrontati i temi dell'amore (anche omosessuale) e dell'identità?



L’amore è un tema fondamentale in questo libro, anzi è l’energia da cui nasce. L’amore non è soltanto passione e scelta sessuale - mi premeva parlare di amore senza aggettivi, l’amore per la madre, per la donna amata, per i vecchi che mi hanno voluto bene da piccola… Come Audre Lorde, ritrovo nelle mie antenate la forza delle donne che si amano e lavorano insieme, siano essere sorelle o amanti.

Parto dalla mia famiglia materna per rivedere quello che è perduto per sempre nella dimensione del presente, ma che è vivo dentro di me, parte di me: luoghi, paesaggi, miti, passioni e paure, modi di dire, ciò che dà senso alla vita e anima il linguaggio. Questo libro è anche una discesa all’interno di un ‘io’ per vedere quel che c’è di ‘altri’ in me, per riconoscermi figlia di, nipote di, erede di tanti, con le loro abitudini e stranezze, le loro sofferenze e il loro modo di prendere in giro la vita. Un piccolo viaggio all’interno di quel mistero che è ogni essere umano, simile a tanti, diverso da tutti; e anche una ricerca archeologica sui frammenti della memoria, e i disegni che se ne possono ricomporre.



Pare di capire che non le interessi molto il “politically correct”...



Se per politically correct si intende la convinzione di pari diritti per tutti, e la volontà di non svilire nessuno con pregiudizi e stereotipi, mi sembra un ottimo punto di partenza a cui forse un giorno arriveremo, se ci comportiamo bene. Ma se invece si tratta dell’enunciazione di nobili principi o di minute rivendicazioni che serve a mettere chi la fa dalla parte della ragione e gli altri dalla parte del torto, la trovo una cosa che, al suo meglio, può essere fonte d’ispirazione per la satira.



Perchè la scelta di usare anche il dialetto?



Perché è la mia lingua madre. Prima della televisione, nessuno era nato ‘in Italia’, eravamo tutti nati in una qualche città, paese, campagna dell’Italia. E parlavamo tutti diverso. Oggi si parla tanto di salvaguardare la diversità, proprio perché la diversità sta per sparire, in fatto di linguaggi come di tante specie di piante e animali. Ho voluto rivolgere un pensiero d’affetto alla lingua che ha dato forma ai miei primi pensieri.