lunedì 29 giugno 2015

Diamante nero: il cinema, l'identità, la protesta







Dopo il grande successo di Tomboy, il film che raccontava di una ragazzina che vuole essere un maschio, esce sul grande schermo l'ultimo lavoro della regista Céline Sciamma, presentato al Festival di Cannes nella sezione “Quinzaine des Realisateurs” e intitolato Bande des filles. Il titolo italiano è Diamante nero e prende spunto dalla colonna sonora, un brano di Rihanna, “Diamonds” che scandisce ritmicamente le pulsazioni del cuore e della vita delle protagoniste.

Si tratta, infatti, di un film ancora al femminile che molti hanno subito definito “di genere”: nella prima sequenza vediamo un gruppo di ragazze nere che, in uno spogliatoio, ridono, scherzano, schiamazzano, unite nella gioia della giovinezza e della spavalderia. Poi ognuna di loro fa ritorno alla realtà, entra nelle case di periferia, alle prese con i problemi di una quotidianità difficile, soprattutto se si è femmine.

Marieme, la protagonista sedicenne, deve fare i conti con un fratello dispotico, con le decisioni prese dagli altri “per il suo bene”, con un lavoro che non le piace e con una società dove prevalgono machismo e prepotenze. Ma Marieme non ci sta e impara a dire NO: Cambia nome e diventa Vic, si stira i capelli, cambia anche look, si arma di coltello e inizia a fare a botte. Non è sola: a lei si uniscono altre tre - Lady, Adiatou e Fily - ed ecco formata la banda che dà il titolo alla pellicola, una banda di ragazze che si comportano come i modelli maschili che hanno intorno: minacciano, rubano, non temono nessuno.

Ma la natura femminile c'è e non si inganna: Marieme è innamorata dell'amico del fratello. Una sera va da lui, si spoglia e gli dice semplicemente “Facciamo l'amore”. Una dichiarazione così diretta, un'offerta di sé così istintiva marchieranno Marieme come sgualdrina. Ma in questo suo atto d'amore c'è tutta la forza della libertà.

Diviso in capitoli, proprio come un romanzo di formazione, Diamante nero è ambientato nelle banlieu parigine, abitate, come sappiamo, da immigrati e dai loro figli, dove le persone vivono in quell'architettura squadrata e squallida che caratterizza tutte le periferie e dove vince la legge del più forte e del più furbo: ma la regista non ha voluto realizzare un film su questo tipo di ambiente. Il suo intento è più politico: attraverso le vicende - particolari e univerali allo stesso tempo - di Marieme e delle sue amiche che si affacciano alla vita e alla maturità con tutte le emozioni, le paure e la confusione tipiche della loro età, viene raccontata una forma di resilienza ai modelli imposti dall'esterno. Le protagoniste dicono NO alla violenza e, in fondo in fondo, rispondono con l'amore; dicono NO alle donne sottomesse al patriarcato; dicono NO a modelli familiari apatici e senza orizzonti, immaginando e lottando per un futuro migliore; dicono NO a regole di lavoro ingiuste.

E' un film ben scritto, studiato nella sceneggiatura e nella regia che non scade nelle scelte comuni proprio per far riflettere sulla grande forza e il grande coraggio di queste piccole donne (donne nei corpi, ma bambine negli occhi), confuse ed eroiche nel loro guardare dentro e fuori da sé per strutturare un'identità e una vita possibilmente consapevole e felice.