mercoledì 3 giugno 2015

Le donne sudamericane di cui si parla poco, ma che continuano a lottare





Invisibili? Donne latinoamericane contro il Neoliberismo, di Laura Fano Morrissey edito da Ediesse, è un lavoro molto originale e di grande attualità: parla e racconta le storie di donne del Sudamerica approdate a Roma in cerca di un futuro migliore con le guerriere dell’acqua di Cochabamba, le indigene zapatiste o le Madres de Plaza de Mayo? Cosa lega la migrazione ai grandi movimenti sociali sviluppatisi in America Latina nel nuovo secolo?
Entrambi sono una reazione al neoliberismo spietato che a partire dagli anni ’80 ha stravolto le società e le economie di un intero continente, entrambi sono fenomeni caratterizzati da un forte protagonismo femminile.
Le testimonianze delle migranti e i saggi su quattro eventi emblematici della lotta al neoliberismo in America Latina, contenuti in questo libro, sono accomunati dal fatto che le protagoniste sono spesso donne ordinarie e invisibili, impegnate in modi diversi in una lotta quotidiana contro un sistema economico che le sfrutta in patria e all’estero, ma anche contro il maschilismo e il patriarcato, l’esclusione e la marginalità.



L'Associazione per i Diritti Umani ha rivolto, per voi, alcune domande a Laura Fano Morrissey e la ringrazia molto.





Maria, marcela, Rosa, Yanet e altre: sono le donne-protagoniste del suo lavoro. Come si è svolta la ricerca e quali sono le criticità evidenziate nel loro percorso di migrazione?

 

Le donne protagoniste del libro sono tutte donne che per i più svariati motivi già facevano parte della mia vita. Come spiego nel libro, sono state e loro e l’idea stessa della pubblicazione a presentarsi a me. Mettendo in relazione le loro storie, molto diverse ma con qualche elemento affine, ho avuto l’intuizione di costruirvi intorno una narrazione. Si tratta di sei donne, dunque non vi è mai stata alcuna pretesa da parte mia di voler realizzare un’investigazione dettagliata e rappresentativa del fenomeno migratorio femminile latinoamericano. L’idea iniziale era semplicemente di fornire dei ritratti di sei donne, da cui poi potessero emergere, indirettamente, anche dei ritratti dei loro paesi di origine. Tuttavia, nel dipingere questi ritratti, mi sono poi resa conto che vi erano molte caratteristiche che accomunavano queste donne: le difficoltà incontrate appena giunte in Italia, sia economiche che di integrazione, i rapporti molto ambivalenti con le comunità di connazionali qui a Roma, il quasi rigetto nel trasmettere la propria lingua e le proprie tradizioni alle loro famiglie, per paura che anche loro potessero essere discriminate.


Quali sono i motivi che hanno spinto queste donne a lasciare il proprio Paese? Ci può anticipare una delle loro storie?


Le sei protagoniste hanno lasciato il proprio paese per motivi diversi. Beatriz scappa dalla dittatura argentina, Yanet lascia Cuba per sposare un italiano, Rose è costretta ad abbandonare il Brasile in seguito a gravi episodi di violenza, Marcela vuole lasciarsi alle spalle una delusione amorosa, Rosa viene portata in Italia con l’inganno, Maria vuole assicurare un futuro migliore alle proprie figlie. Tuttavia, con l’eccezione di Beatriz, tutte fanno in qualche modo parte della categoria dei migranti economici. In particolare la migrazione femminile, per quanto riguarda l’America Latina, rappresenta la maggior parte del numero totale dei migranti. Le protagoniste affrontano dunque situazioni molto difficili, non solo in quanto migranti, ma anche come donne. Tutte hanno sulle loro spalle la responsabilità di inviare i soldi a casa per mantenere famiglie spesso numerose, molte di loro sono state costrette a lasciare i propri figli, portandosi dietro rimorsi, sensi di colpa e famiglie problematiche. Quasi nessuna ha avuto accanto una figura maschile forte in questo percorso doloroso. Rosa, che venendo a Roma dal Nicaragua, ha dovuto abbandonare le sue cinque figlie, di cui una molto piccola, dice che se potesse tornare indietro, non lascerebbe il suo paese e piuttosto vivrebbe di pane e acqua. “Ho sofferto così tanto che per me la prigione sarebbe stata meglio. In carcere almeno ogni quindici giorni puoi vedere i tuoi familiari.”

Nel titolo si parla di “neoliberismo”: in che modo, questo sistema economico, non risulta favorevole per le/i migranti ?


Il nocciolo della questione non è tanto se il neoliberismo sia o meno favorevole alle migranti, bensì esso rappresenta la causa stessa della loro migrazione. Tagli ai sistemi basici quali scuola e sanità, privatizzazioni, mancanza di qualsiasi assistenza da parte dello Stato, dominio delle multinazionali, tutto ciò ha spinto una fetta enorme della popolazione latinoamericana ad emigrare. Tuttavia, il neoliberismo, applicato in America Latina già dagli anni 80, sta poi rendendo la vita difficile a queste donne anche qui in Europa, dove assistiamo ad una replica acritica di ciò che era stato sperimentato in altre regioni con conseguenze disastrose.

Mentre le sei donne, e tante come loro, sono emigrate come conseguenza di queste politiche, molte altre invece le hanno combattute aspramente sul territorio. Ed è qui che si inseriscono i quattro casi studio che si alternano alle storie personali delle protagoniste: la lotta zapatista in Messico, la guerra dell’acqua in Bolivia, la reazione alla crisi argentina del 2001 e la difesa di Chavez in Venezuela durante il tentativo di colpo di stato nel 2002.


In Europa si parla poco del continente latinoamericano: perchè, secondo lei, c'è questo vuoto di informazione?


Purtroppo in Europa e dunque anche in Italia c’è una profonda mancanza di informazione su quanto avviene in America Latina, e, ancor peggio, una mala informazione dovuta a preconcetti e ad una visione eurocentrica e neocoloniale. Il senso di superiorità europeo porta da una parte a giudicare i processi in atto nella regione latinoamericana con categorie nostre, assolutamente inadatte ad interpretare una realtà molto diversa. Inoltre questo senso di superiorità non permette di cogliere le lezioni che vengono da quella parte di mondo che invece potrebbero risultarci molto utili, soprattutto in questa fase di crisi profonda che stiamo attraversando. Tutto ciò porta a guardare con supponenza o a condannare i grandi processi di cambiamento avvenuti a Cuba e in Venezuela, così come quelli portati avanti dagli importantissimi movimenti sociali che con innovazione e creatività mettono in discussione il sistema economico e politico dominante.

 

Cosa significa, per le donne da lei incontrate, la parola “casa” ?


La migrazione porta con sé dei processi di emancipazione molto ambivalenti, in cui le identità si rompono e si ricreano. La casa non è più una. Tutte queste donne vorrebbero tornare nei loro paesi di origine, ma poi sono in qualche modo legate strettamente alla realtà che, con difficoltà, si sono costruite qui. Il paese di origine è spesso mitizzato, le cose negative spesso rimosse. Tuttavia, quando queste donne vi si recano, provano nostalgia dell’Italia e non si sentono completamente a casa. Ormai hanno un’identità multipla che le rende straniere ovunque.