lunedì 1 giugno 2015

Una riflessione su «Il silenzio e il tumulto» di Nihhad Sirees

 






di Monica Macchi     (da La bottega del Barbieri)





La settimana scorsa a Milano l’Associazione per i Diritti Umani ha organizzato un incontro sui profughi in fuga dalla Siria, la cui situazione è stata raccontata attraverso il romanzo «Il silenzio e il tumulto» (*) di Nihhad Sirees.

Il titolo è la chiave di lettura del libro: il Tumulto è quello del potere e della propaganda del regime mentre il Silenzio è di vari tipi; può essere il silenzio della prigione, della tomba, quello che evita i guai, quello che permette ai suoni melodiosi di arrivare fino a noi ma è anche il silenzio in cui è ridotto Fathi, uno scrittore-giornalista accusato di essere “non-patriota” e che nel giorno del 20° anniversario della presa del potere del Leader cerca di sfuggire al tumulto delle manifestazioni.

Il libro è il racconto di questa giornata in cui si intrecciano diverse storie (uno studente picchiato, un medico che si interroga sul nome da dare alla perdita di rispetto per la vita umana, alcuni addetti agli interrogatori…) e diventa un ritratto dei meccanismi del regime attraverso la paura, la responsabilità e l’Arte. Se la paura è l’arma predominante, si intreccia strettamente alla responsabilità individuale (l’autore scrive “siamo schiavi per colpa nostra” lanciandosi in una dissertazione sulla differenza tra i Persiani e i Macedoni nella divinizzazione di Alessandro Magno…) ma soprattutto dell’intellettuale che si ribella “non per il gusto di ribellarsi ma perché non gli piace quello che succede”. Infatti l’arte diventa «patriottica» che sa manipolare l’umore nazionale e suscita l’ardore per il Leader: gli slogan vengono creati da poeti in quanto la poesia, e in particolare il ritmo e l’allitterazione, impedisce la riflessione e dissolve l’individualità nella folla. Ma oltre alla ribellione aperta ci sono altre strategie di resistenza incarnate dalle 3 figure femminili: Lama, l’amante, Samira, la sorella e Ratiba Khanem, la madre. La madre rappresenta la scelta dell’indifferenza, del “lasciar perdere” perché le vicende quotidiane sono prive di importanza e la compensazione è la cura dell’aspetto esteriore: pur di assecondare la sua fragile vanità, tradisce gli ideali del figlio e anche la memoria del padre. L’amante rappresenta il sesso, un grido contro il silenzio che restituisce l’equilibrio e toglie le maschere del pudore e della vergogna permettendo di ridere e scherzare. La sorella rappresenta l’umorismo e l’ironia (si può ridere del Partito ma non del Leader) ma anche l’auto-ironia e alla fine del libro dà il consiglio fondamentale per sopravvivere nel regime: “sii idiota tra gli idioti e ridine”.




(*) Pubblicato in Libano nel 2004 e poi tradotto in tedesco, francese, inglese (ha vinto il Premio Pen Writing in translation nel 2013) e ora in italiano dalla casa editrice Il Sirente.