domenica 9 agosto 2015

Mario, disabile superabile







E' un racconto autobiografico, Mario disabile superabile, narrato in terza persona dell'evoluzione della vita di un ragazzino nato verso la fine della seconda guerra mondiale nella bassa pianura padana del secolo scorso, un posto dove la vita scorreva coi ritmi medievali della campagna.
Quando Mario comincia a camminare a circa un anno, uno zio materno si accorge che il bimbo ha un problema all'occhio sinistro. Una visita medica oculistica constata la presenza di una cateratta congenita al bulbo oculare: è nato monocolo.
Anche vedendo con un solo occhio si può vivere e Mario cresce: ha visto dalla nascita con un solo occhio, quello destro, e per lui quella del monocolo è una vita "normale".
Verso i tre anni e mezzo ha una forte febbre che dura quasi un mese: il medico del paese dice che è un'indigestione e prescrive purga e riposo.
Passata la febbre Mario si alza dal letto ma la gamba destra non funziona più come prima e comincia a zoppicare: dapprima leggermente e poi in maniera sempre più evidente.
Si stanca facilmente a camminare: strano perché prima della febbre correva sempre, però nessuno capisce la causa della zoppìa di Mario.
Dopo sei mesi dalla guarigione dalla febbre Mario viene accompagnato in ospedale dove viene visitato da un luminare ortopedico il quale diagnostica immediatamente la malattia che, a quei tempi ed in quei posti, pochi conoscevano: poliomielite.
Per Mario inizia la vita del disabile in un contesto povero, ignorante ed aggravato dal pensiero fascista dominante che, in quei tempi, arrivava a prescrivere la soppressione dei bambini soggetti a gravi forme di disabilità.
In quel contesto nessuno ha tempo per i bambini e Mario capisce in fretta che nascere in un posto povero è già una bella rogna, avere a che fare con persone rozze è ancora peggio ed essere disabile, in aggiunta alle prime due calamità, è il peggio che possa capitare.
Questo è solo l'inizio del racconto di Germano Turin - raccontata nel libro intitolato Mario disabile superabile edito da Sottosopra - al quale abbiamo rivolto alcune domande.




Si tratta di un racconto autobiografico: come vivere una situazione di “disabilità” in un contesto difficile come quello successivo alla Seconda guerra mondiale?



Alla mia nascita, a dicembre del '42, il babbo era in guerra come fante dell'Esercito Italiano. Anche a casa era tempo di guerra: dalla strada sterrata a fianco a casa passavano tedeschi, fascisti, carri agricoli. Ad aprile del '45 cominciò a passare anche qualche camionetta degli Alleati. Nella casa dove sono nato c'era miseria, ignoranza, emarginazione e la mamma che mi partorì in casa aiutata dalla “levatrice”, come si faceva a quei tempi. Uno dei danni procurati dalle “leggi razziali” del regime fascista fu che la disabilità comportava, secondo loro, una “vita indegna di essere vissuta” e che questo concetto era anche accettato dal collettivo. I più “buoni” tolleravano che “anche i disabili potessero vivere”, però era meglio che lo facessero di nascosto, rendendosi il più possibile “invisibili”.



Ci può spiegare che tipo di educazione ha ricevuto (in famiglia, a scuola)? E quanto è importante proprio l'educazione per i bambini e i ragazzi che hanno una compagna/o disabile?



Nessuno mi spiegava nulla perché nessuno era in grado di farlo. Il babbo tornò dalla guerra e dalla prigionia quando avevo due anni. Ma non cambiò nulla perché dovette tornare a lavorare sui campi: del padrone naturalmente, dato che era salariato agricolo. Gli insegnanti, a cominciare dalla scuola elementare, avevano studiato durante il regime fascista, quindi era già tanto se erano delle persone “equilibrate”. Anche dopo la liberazione, avvenuta nel Veneto nel '45, non è che tutti gli italiani, con un colpo di bacchetta magica, diventarono dei ferventi repubblicani. I compagni di scuola erano, nella maggioranza, figli di braccianti agricoli: diffidenti verso tutto e tutti. Alcuni compagni di scuola erano figli o nipoti di ex gerarchi fascisti: i più “buoni” mi sussurravano che “non era giusto che, in quanto ragazzo con disabilità” fossi bravo a scuola. Per loro era uno spreco.

Alcuni erano addirittura aggressivi nei miei confronti perché non ammettevano che fossi più bravo di loro a scuola. Da piccolo presi anche delle botte: quando non ce la facevano a picchiarmi singolarmente ci si mettevano anche in due o tre per sopraffarmi.



Essere disabili è anche una ricchezza: a suo parere, è cambiata la mentalità in questo senso?


Essere persone con disabilità può essere una ricchezza se l'ambiente che ti circonda ti permette di sviluppare la ricchezza che è in te e che devi scoprire un pezzo alla volta. Se devi usare tutte le tue forze per galleggiare e sopravvivere ai bisogni primari non è una ricchezza. La mentalità sta cambiando, è vero, però non con la velocità con la quale si espande la disabilità che, sappiamo tutti, è in continua espansione.

 

Nel libro racconta di averel subito anche atti di bullismo: cosa vorrebbe dire ai bulli di oggi e alle vittime?

 

Vorrei poter dire che il problema non ero io ma loro. Io non volevo nulla da loro: erano loro a ritenere che certe mie caratteristiche spettassero a loro.


Grazie a chi e a cosa è cambiata la sua vita?

 

Non lo so quali siano state le cause che hanno cambiato la mia vita e con quale incidenza vi abbiano contribuito. Credo una miscellanea di volontà, capacità di sfruttare “in tempo reale” la maggior parte delle occasioni che mi si prospettavano e… una dose massiccia di Provvidenza di riuscire a fare il tutto.