martedì 15 dicembre 2015

America latina: i diritti negati. Che cosa fare?



di Mayra Landaverde



In questi giorni di cortei, presidi e riunioni ho notato che tanti compagni si chiedono se davanti a tutte queste tragedie sia davvero utile continuare nella lotta. La lotta contro il razzismo, la corruzione, l'indifferenza ecc.

I risultati sono spesso scarsi o nulli. La stanchezza si fa molto presente fra noi.

Ieri, durante un corso, una partecipante ha chiesto al relatore cosa fare.

Sì, cosa fare? Andare in manifestazione? Realizzare uno striscione? Fare uno sciopero della fame? Incatenarsi davanti a qualche palazzo istituzionale?

Io non credo che nessun attivista o nessun docente abbia una risposta concreta.

E anche a me viene una stanchezza terribile quando vedo al nostro presidio per i nuovi desaparecidos - ogni giovedì - la gente che passa e non si ferma, non ci guarda e tante volte non accetta nemmeno il nostro volantino.

Sono tutti impegnati a faregli acquisti di Natale.

Come potrebbero essere interessati a dei ragazzi che ormai sono morti e sepolti in fondo al Mediterraneo? A chi potrebbe mai interessare la sorte di migliaia di centroamericani dispersi da qualche parte in Messico? Chi vorrebbe mai sapere di tutti i messicani che muoiono abbandonati nel deserto o annegati nel Río Bravo per attraversare la frontiera con gli Stati Uniti?

Non interessa a nessuno. Perché non li vedono. Perché sono numeri, cifre da telegiornale. Statistiche.

Allora, chiedono i compagni. Che cosa fare?

Facciamoglieli vedere. Proprio davanti ai loro occhi. Portiamoli qui nel centro città.

Il 25 aprile scorso , come Rete per i Nuovi Desaparecidos, abbiamo deciso di creare cartelli con le foto dei ragazzi algerini e tunisini dispersi nel Mediterraneo. Poche volte nella mia vita mi sono commossa in questo modo. La gente ha cominciato ad applaudire mentre noi camminavano in silenzio con i cartelli e quei volti appesi al collo , volti di persone di cui non si sa più nulla da anni.

Sono spariti, sono desaparecidos.

Noi li stiamo cercando! Vogliamo sapere dove sono. Non li portiamo per fare qualsiasi cosa.

Li portiamo perché le loro famiglie li cercano ma non possono essere qui. Perché ci hanno affidato questo grandissimo impegno e noi lo abbiamo accettato. Io l'ho accettato perché sono madre e non riesco nemmeno a immaginare la disperazione del non sapere dove sia finito mio figlio.

Che cosa fare chiedono i compagni.

Bene, prendete una di queste foto e cercateli con noi.

Ieri, 14 dicembre 2015, giornata importante a Milano, mentre si ricordava la strage di Piazza Fontana, abbiamo deciso di continuare ancora col nostro presidio, ma non da soli. Ora ci sono anche Torino, Palermo e Roma. E la stanchezza si sente già meno.

Facciamoci contagiare dai movimenti dell'America Latina. Noi siamo stanchi, ormai è da giugno che organizziamo questo presidio.

La carovana di madri centroamericane in cerca dei loro figli e figlie dispersi in Messico lo fanno da 11 anni. Saranno stanche anche loro, certo.

Ma stanno cercando i loro cari e vanno avanti, nessuno le ferma, neanche il governo messicano che ci ha provato in tutti i modi, negando il loro ingresso nel paese. Nessuno le ha fermate. Nemmeno quando trovano i propri figli. Emeteria Martínez cercò per 21 anni sua figlia. E continuò ad accompagnare le altre mamme anche dopo aver trovato la figlia.

Questo movimento ha trovato finora 200 persone e soltanto quest'anno ne sono già stati ritrovati altri quattro.

Ecco cosa fare.

Facciamoci contagiare da loro, dalla loro inesauribile voglia di cambiare il mondo.