lunedì 26 gennaio 2015

Nuovi desaparecidos: Stragi di migranti e richiedenti asilo – un quadro generale




di Enrico Calamai, Portavoce del Comitato Verità e Giustizia per i nuovi desaparecidos



L’inizio del 2014 è stato segnato, anche a livello mediatico, dall’operazione Mare Nostrum, avviata dalla Marina Militare italiana dopo la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013 (366 morti e 20 dispersi, numero, quest’ultimo, per necessità di cose approssimativo) e interrotta il 1 novembre 2014, con un saldo ufficiale di 167mila vite salvate, cui sono da aggiungere, per completezza di informazione, i 3600 morti di cui si è avuta notizia e che hanno attribuito al Mediterraneo il poco invidiabile primato di area di confine a più alto tasso di mortalità nel mondo.

Alla luce dell’entità di tali cifre, appare ipotizzabile che la stima di ventimila morti nei vent’anni antecedenti i Mare Nostrum, di cui si è parlato finora, possa costituire una approssimazione eccessivamente per difetto. Tanto più che ad essa andrebbero sommate le morti avvenute nei Paesi di transito fino alle sponde africane del Mediterraneo, di cui poco o nulla si sa.

Il 2014 è stato anche l’anno in cui ci siamo costituiti in Comitato “Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos”, una piccola realtà associativa aperta a familiari delle vittime, giuristi, giornalisti ed esponenti della società civile, che si propone come obiettivo primario di porre al più presto fine alle stragi di migranti e richiedenti asilo.

Arrivati a fine anno, appare opportuno tentare di tracciare un primo quadro sia della problematica in generale, che della nostra neonata attività.



  1. Breve introduzione



Negli ultimi settant’anni la comunità degli Stati ha elaborato un corpus giuridico in materia di promozione e tutela dei diritti umani, che è andato acquistando peso sempre maggiore nell’ambito del diritto internazionale. Gli stessi Stati continuano tuttavia a calpestarli, sia a livello di politica interna, nel loro elefantiaco funzionamento quotidiano, che nel loro operare a livello di politica estera, con criteri ancora riconducibili alla realpolitik.



Ciò vale anche per le cosiddette democrazie avanzate del mondo occidentale e, in particolare, per l’Italia. E’ quanto accade, da troppo ormai, nei confronti di richiedenti asilo e migranti che, non dimentichiamolo, hanno anch’essi pieno titolo al rispetto dei loro diritti fondamentali e, soprattutto, del diritto alla vita.

Furono gli albanesi, che continuavano a sbarcare a ondate in un’Italia che ritenevano ospitale perché democratica e ricca, i primi a subire increduli quel mix di astuzia, pregiudizio e violenza, anche mediatica, che sarebbe culminato nell’affondamento di un loro barcone, con tutto il carico di umanità dolente, ad opera di una nave della nostra Marina Militare.

Ma sarebbe cominciata ad arrivare dal sud del mondo, a partire dalla sponda africana del Mediterraneo, mentre Bush senior vagheggiava di un nuovo ordine mondiale, la spinta che continuamente si rinnova e ancora spaventa l’Europa opulenta del nuovo millennio e l’Occidente in generale.

Si tratta di un portato strutturale del neoliberismo, ormai imposto a scala mondiale e caratterizzato dall’asimmetria, scientifico\tecnologica in primo luogo, ma di conseguenza anche militare, economica e culturale, in cui la guerra è tornata a essere strumento praticabile e praticato, anche da parte di Stati la cui costituzione la ripudia.

Si tratta dei danni collaterali di un contesto mondiale in cui le risorse dei paesi che non si dimostrano in grado di difendere la propria sovranità, specie il petrolio, ma domani, chissà, forse anche l’acqua, vengono accaparrate da una parte di gran lunga minoritaria della popolazione mondiale, per mantenere livelli di vita, inquinamento e spreco, cui si accompagnano nel resto del mondo miseria estrema, disastri ecologici, guerre, proliferazione nucleare e degli armamenti in genere, migrazioni di massa e terrorismo.

Gli interventi in Afghanistan e Iraq, in Libia, Mali e anche quello attraverso l’opposizione in Siria, senza il quale forse l’ISIS non sarebbe esistito, sono tasselli da mettere insieme. Ne sono conseguenza diretta i disperati che da mille rotte diverse puntano verso il Mediterraneo.



  1. I macrosoggetti



La NATO, al punto 24 del Concetto Strategico del 1999, constatava che ” I movimenti incontrollati di un gran numero di persone, in particolare come conseguenza di conflitti armati, possono anche porre problemi per la sicurezza e la stabilità, che colpiscano l’Alleanza.” Detto diversamente, per la più potente alleanza militare al mondo, il fenomeno va considerato in sé e per sé, senza risalire alle sue cause. Inutile aggiungere che, in termini militari, qualunque fenomeno comportante problemi di sicurezza vada eliminato.

Analogo il modo di ragionare dell’Unione europea, quando include la cosiddetta immigrazione irregolare nell’elencazione dei pericoli cui l’Unione Europea ritiene di dover far fronte con la Politica di Sicurezza e Difesa Comune, mettendola alla pari con terrorismo, proliferazione delle armi di distruzione di massa, cyber war, etc.

Eppure, checché sostengano questi giganti della scena mondiale, la costanza della ragione ci evidenzia che non siamo in presenza di un’invasione di forze ostili, bensì di un afflusso di gruppi vulnerabili e bisognosi di protezione, assolutamente normale nella storia e addirittura codificato dal diritto internazionale consuetudinario, con norme che adesso si vuole nei fatti cancellare. Un afflusso che, va aggiunto, può dimostrarsi destabilizzante soltanto nel contesto neoliberista di una spesa pubblica in materia sociale, che continua a venir implacabilmente decurtata malgrado l’arrivo di nuovi possibili fruitori.


  1. Il modus operandi



Non ci può sorprendere che dalle due premesse sopra riportate derivi una trattazione sicuritaria se non manu militari del problema, nell’ambito del sistema difensivo integrato che i singoli Stati appartenenti all’Ue e/o alla NATO sono chiamati a realizzare.

Né può meravigliarci che ognuno degli Stati membri vi si sia adeguato, specie in una congiuntura caratterizzata da venti di guerra in Medio Oriente e ai confini dell’ex Unione Sovietica, mediante norme in materia di immigrazione, di difesa delle frontiere e delle acque territoriali, di accordi bilaterali con gli Stati della sponda africana del Mediterraneo per l’esternalizzazione delle attività di pattugliamento e controllo, di operazioni affidate alle forze armate e di sicurezza.

Il problema sta nelle ricadute che l’insieme di tali attività, commissive, omissive o permissive, comporta per i non cittadini dell’Unione, quando a realizzarle di concerto è la totalità dei soggetti presenti a livello regionale. Stiamo parlando dell’ operato degli Stati europei, della stessa Unione Europea e della stessa NATO, da una parte, degli Stati africani di attraversamento e mediterranei, dall’altra. E, per contro, della difficoltà a comprendere la portata del problema complessivo, da parte di un’opinione pubblica europea, frammentata dalle paratie derivanti da media tuttora nazionali.

Stiamo parlando di un combinato disposto che ha fatto del Mediterraneo e dello stesso deserto che ormai possiamo considerare come gravitante intorno, un immenso vallo, non dissimile nella sostanza alla terra di nessuno che divideva le opposte trincee del fronte durante la I guerra mondiale, protetto da filo spinato, mine e spuntoni di ferro, per massimizzare il numero dei morti ad ogni tentativo di attraversamento.

O, se si preferisce, un tritacarne giuridico, dato che é lo sbarramento di ogni via d’uscita legale a mettere questi disperati alla mercé dei predoni che in Sudan danno la caccia agli eritrei in fuga da una delle dittature più feroci al mondo, per estorcere riscatti di ogni tipo, compreso l’espianto degli organi, o delle milizie che in Libia utilizzano i corpi di richiedenti asilo e migranti per lo sminamento, è tutto questo a ridurli a res nullius, non diversamente dagli ebrei nell’Europa occupata dai nazifascisti, mettendoli infine in mano agli scafisti, se e quando riescono ad arrivare al Mediterraneo. Anzi è tutto questo a produrre il lavoro sporco di predoni, milizie e scafisti, certi, a differenza dei pirati somali, di agire in sintonia con la volontà politica occidentale e di poter quindi contare sull’impunità.

Ma non basta. E’ estremamente improbabile che un barcone possa sfuggire ai controlli incrociati continuamente in atto da parte di aerei, droni, satelliti, elicotteri, sofisticate apparecchiature radar , ecc. e che lo stesso accada per i gruppi che si avventurano nella traversata del deserto nella speranza di raggiungere il Mediterraneo. Non mancano testimonianze ad avvalorare l’ipotesi che i medesimi vengano inquadrati, seguiti fin dall’inizio e lasciati a percorrere fino in fondo il loro calvario, nell’ambito di una strategia di deterrenza finalizzata a minimizzarne il numero, nell’impossibilità di sradicare del tutto il fenomeno. Non mancano testimonianze su gravissime omissioni di soccorso che di certo costituiscono un illecito internazionale.



  1. La strategia



Il problema è che per ognuno che muore, ma forse sarebbe meglio dire che facciamo morire, tantissimi altri continuano a tentare di arrivare, costretti alla fuga come sono da bombardamenti, dittature, terrorismo, catastrofi ecologiche e miseria estrema e crisi troppo spesso da noi stessi provocate. E allora, ecco che la frontiera viene sempre più esternalizzata e il fronte spinto sempre più in là, ecco che aumentano le possibilità di lucro da parte della criminalità organizzata, in una terra di nessuno sempre più estesa e perfezionata, fino a renderli impercettibili nella tragedia del loro respingimento, dispersi nell’ambiente, impensabili e inesistenti perché quod non est in actis, non est in mundo.

Sono, in una parola, i nuovi desaparecidos, e il riferimento non è retorico e nemmeno polemico, è tecnico e fattuale perché la desaparición è una modalità di sterminio di massa, gestita nel cono d’ombra di un sistema mediatico ormai prevalentemente iconografico, in cui si dà per scontato che tutto ciò che esiste viene rappresentato e ciò che non viene rappresentato non esiste, in maniera che l’opinione pubblica non riesca a prenderne coscienza, o possa almeno dire di non sapere.

Per la segretezza con cui era stata programmata e avviata, la Soluzione Finale ne è stata l’antesignana, mentre la strategia dei militari argentini ne rappresenta il più recente esempio di successo nell’eliminazione fisica di un gruppo politico d’intralcio al neoliberismo. Scaturisce direttamente dal cuore di tenebra del mondo occidentale l’attuale inconfessabile ecatombe di coloro che, per chi ci governa, altro non sono che Untermensch,.



  1. Mare Nostrum



Vale la pena soffermarsi un momento sul rapporto visibità/invisibilità. La strage di Lampedusa dell’ottobre 2013, non fu la prima né sarà presumibilmente l’ultima di tale portata.

Essa tuttavia riuscì a bucare lo schermo dell’indifferenza mediatica e con lo scalpore sollevato costrinse le autorità italiane e quelle di Bruxelles a recarsi sul posto, a vedere di persona la mostruosità implicita in un simile spiegamento di bare, a farsi vedere mentre vedevano e a non poter più pretendere di ignorare. La deresponsabilizzazione poteva a quel punto essere assicurata soltanto mediante un altrettanto percettibile agire in senso opposto. Ne conseguì l’avviamento di Mare Nostrum, che pur con tutti limiti inerenti un’operazione che agisce a valle delle scelte politiche che causano il problema, ha ridato dignità alla Marina Militare italiana, permettendole di salvare ben 167 mila vite umane in un anno.

Questa almeno è la cifra ufficiale, ed è da capogiro. Soprattutto pone l’ineludibile problema di quante saranno le morti che dobbiamo aspettarci a partire dalla fine di Mare Nostrum. Come noto, infatti, a un anno dalla tragedia di Lampedusa il Governo italiano lo ha cancellato, con decisione imposta malgrado il contrario avviso a più riprese espresso dalla nostra Marina Militare e motivata con asserite esigenze di bilancio, come se fosse lecito porre un prezzo alle vite umane.



La decisione sembra rispondere a preoccupazioni elettorali del Ministro Alfano, oltre a venire incontro alle ragioni cinicamente espresse alla Camera dei Lords dal Sottosegretario UK Mrs Joyce Anelay, secondo la quale i salvataggi vanno bloccati perché sortiscono l’effetto di incoraggiare altre partenze. Ma soprattutto, a un anno delle morti di Lampedusa, tale decisione sembra fare affidamento sul prevalere dell’indifferenza nell’opinione pubblica, assuefatta alla sinusoide delle stragi da un’informazione emozionale quanto ondivaga, e sulla conseguente possibilità di lasciar ormai silenziosamente rientrare il problema nell’invisibilità.

Ben altra cosa sarà l’operato di Frontex e Tryton, che rappresentano il ritorno a misure di polizia, non di salvataggio, mentre gli interventi della nostra Marina Militare potranno aver luogo soltanto dopo esser stata ricevuta la segnalazione di natante in avaria, anziché con la tempestività resa finora possibile dalle perlustrazioni sistematicamente effettuate anche fuori dalle nostra acque territoriali.

Un’ultima considerazione va fatta circa l’aspetto finanziario del problema, anche se il problema non è finanziario bensì politico e prima ancora etico.

Il costo di Mare Nostrum ha oscillato tra i 9 e i 10 milioni di euro al mese, per un totale annuo quindi non superiore ai 120 milioni, presumibilmente sostenuti peraltro dalla Marina Militare con fondi fatti gravare sul proprio bilancio, mentre l’Italia ha ricevuto dall’Ue la cifra di 286 milioni circa per il 2014, come contributo per le spese sostenute per l’assistenza ai profughi.

Tutt’altro discorso andrebbe fatto per la modalità con cui questa cifra è stata spesa, alla luce anche del recente scandalo sui rapporti tra criminalità organizzata e politica per la gestione di questi fondi.



  1. La diplomazia italiana



L’Italia appare adoperarsi a un disegno politico finalizzato a ridurre il numero non delle morti di migranti e richiedenti asilo in generale, ma di quelle che, avendo luogo nel Mediterraneo, possono costituire una turbativa per l’opinione pubblica.

Nel novembre scorso, mentre Mare Nostrum chiudeva e quando era ormai chiaro che la Libia da noi liberata non era più in grado di svolgere il lavoro sporco di bloccare un esodo che ha assunto proporzioni bibliche, aveva luogo a Roma un incontro a livello ministeriale del cosiddetto Processo di Khartoum, promosso dall’Italia in quanto presidente Ue, con governi disparati come quello dell’Etiopia, lacerata da movimenti indipendentisti, come quello somalo, che a mala pena riesce a controllare il palazzo presidenziale, come il regime eritreo, notoriamente uno dei più feroci al mondo, o il Sudan, il cui presidente Bashir ha il dubbio onore di un mandato di cattura dalla Corte Penale Internazionale.



Obiettivo dichiarato di questo processo è la gestione di quelli che vengono definiti flussi migratori , e che tali non sono, visto che di rifugiati e richiedenti asilo prevalentemente si tratta. D’altronde, l’unico vero motivo di convergenza può consistere nel puntellamento di questi regimi in funzione di baluardo contro il fondamentalismo islamico (obiettivo perseguibile anche in altri modi), aiutandoli a porre definitivamente fine alle ondate di disperati in fuga, che hanno raggiunto un’entità tale da mettere a rischio la loro stabilità interna e, secondo la valutazione delle nostre autorità, anche quella dei Paesi verso cui si dirigono per chiedere l’asilo politico: Italia ed Ue. Evitare che partano, evitare che arrivino, evitare che si veda e sappia ciò che accade in scenari sempre più lontani dalle nostre oasi di benessere, renderli sempre più impercettibili per la nostra opinione pubblica, sempre più inesistenti nel sistema mediatico mondiale.

E, con ciò, chiudere in una manovra a tenaglia il disegno già avviato con il Processo di Rabat, cui fanno capo gli Stati della costa atlantica dell’Africa, neanche essi particolarmente democratici: non lasciare più a predoni, milizie o criminalità organizzata in generale il lavoro sporco di bloccare i disperati alla ricerca di vie di fuga verso libertà, democrazia e dignità, affidandolo direttamente a governi che si suppone vi provvedano con maggior efficienza, anche perché potranno contare sulla nostra complicità e sul nostro supporto.

Si tratta di un progetto politico che presenta inquietanti analogie con il Piano Condor, attuato in America Latina, negli anni ’70 del secolo scorso, nei confronti dei cosiddetti sovversivi che, in sostanza, vi ostacolavano l’imposizione del neoliberismo.



  1. Il Comitato Verità e Giustizia per i nuovi desaparecidos



Noi ci opponiamo a quelli che non possono che essere definiti crimini di lesa umanità.

Sentiamo l’urgenza di porre fine al susseguirsi di morti, presumibilmente destinato a subire una brusca impennata con la soppressione di Mare Nostrum e con il convergente strutturarsi dei Processi di Khartoum e di Rabat.



Ci siamo costituiti in associazione con la finalità di svolgere ogni iniziativa opportuna diretta a impedire le morti nel Mar Mediterraneo e nei percorsi verso gli Stati dell’Unione Europea dei migranti e delle persone in cerca di asilo, ottenere il riconoscimento dell’identità delle vittime e ricercare la verità sulla loro scomparsa anche attraverso l’istituzione di un Tribunale Internazionale di opinione, nonché chiedere l’individuazione e la condanna dei responsabili ed il risarcimento nei confronti dei familiari delle vittime nelle sedi giurisdizionali nazionali, comunitarie, europee e internazionali.



Chiediamo al nostro Governo e alle forze politiche presenti a livello parlamentare sia italiano che europeo, di intraprendere i passi necessari a smantellare la situazione di fatto e di diritto che è causa di tali crimini e di provvedere all’apertura di canali umanitari che permettano l’afflusso di richiedenti asilo e migranti in pericolo di vita, facilitando il loro arrivo in Italia e/o nei Paesi di destinazione, nella prospettiva che si arrivi al più presto a costituire un sistema di accoglienza europeo unico, condiviso e applicato da tutti gli stati membri dell’Unione. Chiediamo l’aiuto della stampa più qualificata per abbattere il muro di gomma dell’inconsapevolezza dell’opinione pubblica e avviare fin da subito un percorso di verità e giustizia. Chiediamo a quanti si sentano in sintonia con quanto finora espresso di contattarci al fine di studiare qualunque forma di possibile collaborazione.

Dobbiamo interrompere questa catena infame, porre al più presto fine a un meccanismo che costantemente rimescola vittime e benessere, trasformandoci in collettività subalterna e silenziosa di una democrazia, che non può essere altro che forma vuota ove non accompagnata da autentico rispetto dei diritti umani.