sabato 19 settembre 2015

La repressione dei crimini internazionali in Africa: il caso Habré




di Veronica Tedeschi




Ho passato quattro anni in prigione, nelle peggiori condizioni. Per sette mesi sono rimasto curvo al suolo. Mi si sono staccate le gengive, non riuscivo neanche a mangiare riso cotto. Ciò che mi ha segnato in questi quattro anni è che sono stato obbligato insieme a dei miei compagni a seppellire chi moriva per malattie causate da questo trattamento inumano (…). Il mio sogno è di vedere Hissène Habrè dietro le sbarre. Quel giorno danzerò”

- Abaifouta, vittima ciadiana della macchina repressiva di Habré. -




Quello che abbiamo vissuto è inimmaginabile. Ci volevano uccidere se non eseguivamo i loro ordini, ci impedivano di curarci, di fare sapere alle nostre famiglie dove fossimo. E io che ora sono davanti a voi, sappiate che quando mi hanno arrestato venivo dall’ospedale, il 2 ottobre 1998, non ho rivisto più l’ospedale fino al dicembre 2010.

In qualsiasi posto del mondo i prigionieri sono curati, ma noi non potevamo. Ci davano da mangiare cose che se le date al vostro cane le rifiuta, volevano aiutarci a morire con il cibo che ci davano”

- Dichiarazione rilasciata da Souleymane Guengueng durante la conferenza stampa fatta in occasione dell’apertura delle Camere Africane Straordinarie. Guengueng è membro dell’Associazione delle vittime dei crimini di guerra del regime di Hissène Habrè e del comitato di pilotaggio per il processo e lui stesso una delle vittime scampate alla morte del dittatore. -



Il 7 settembre è ripreso a Dakar, in Senegal, il processo contro l’ex presidente del Ciad, Hissène Habré, accusato di crimini di guerra, tortura e crimini contro l’umanità. Il processo si era riaperto il 20 luglio, ma era stato sospeso per 45 giorni per consentire agli avvocati di aggiornarsi sul procedimento. La situazione è critica, Habrè rifiuta di parlare con i suoi avvocati e non si è presentato al processo, al quale è stato condotto con la forza.

La vicenda giudiziaria di Habré si era conclusa nel 2012, anno in cui fu creata una giurisdizione penale ad hoc, in seno alle corti senegalesi, incaricata di perseguire i responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani avvenute nel Ciad nel periodo compreso tra il 7 giugno 1982 e il 1 dicembre 1990 (arco di tempo che comprende la dittatura di Habré). Il dittatore è sospettato di essere responsabile della morte di migliaia di persone, il numero esatto è sconosciuto. Nel novembre 1990 circa 300 detenuti politici sono stati giustiziati e questo è solo un esempio tra i tanti di dissidenti giustiziati durante la sua dittatura. Venne accusato di crimini contro l’umanità e tortura ma l’azione penale presentata contro di lui incontrò molte difficoltà, dal difetto di giurisdizione proclamato dalle autorità senegalesi alla possibile violazione del principio di non retroattività.

Questo processo rappresenta un segno di svolta vista la creazione, per la prima volta nel continente africano, di una giurisdizione penale ad hoc volta a giudicare i crimini commessi da Habré nel periodo della sua dittatura. È stato sotto la nuova presidenza di Macky Sall che la situazione in Senegal si è finalmente sbloccata: dopo aver stretto un accordo con l’Unione Africana, il 19 dicembre 2012 il governo senegalese ha votato una legge per istituire le quattro Camere Africane Straordinarie richiesta dall’istituzione africana “con lo scopo di perseguire e giudicare i principali responsabili dei crimini e delle gravi violazioni di diritto internazionale commesse sul territorio ciadiano durante il periodo dal 7 luglio 1982 al 1 dicembre 1990”. Il Senegal doveva agire anche in nome delle Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 che aveva ratificato e che lo obbligava, quando una persona era accusata di atti di tortura ed era sotto la sua giurisdizione, a giudicarlo o estradarlo. Qualcuno vide male la creazione di Camere ad hoc ma queste furono create per rispondere alla giurisdizione internazionale, così come il Tribunale speciale per il Ruanda rispondeva agli standard delle Nazioni Unite.

E’ la prima volta che l’Unione Africana costituisce un tribunale ad hoc internazionale. Siamo i primi a rivendicare un processo giusto ed equo e ne va anche della credibilità dell’Africa” commenta Assane Dioma Ndiaye, avvocato senegalese delle vittime di Habrè. Tali camere si prestano, quindi, ad essere qualificate come “mixed tribunal” o “hybrid tribunal”; in altri termini, questo nuovo organo giurisdizionale presenta taluni aspetti che permettono di assimilarlo ad un tribunale statale ed altri che, invece, ne consentono l’inquadramento tra i tribunali internazionali.



Per quanto riguarda il coinvolgimento del Senegal nella repressione di crimini commessi in Ciad, ciò che sorprende non è la circostanza che a procedere alla repressione sia uno Stato diverso da quello nel quale i crimini sono stati perpetrati, poiché in tal senso deporrebbe il principio della giurisdizione universale affermatosi proprio con riguardo alla repressione dei crimini internazionali. La cosa che fa pensare è che per la prima volta si assiste all’istituzione di un tribunale penale misto per perseguire finalità diverse da quelle che hanno giustificato in precedenza l’istituzione di simili organi giurisdizionali.

Infatti, le precedenti esperienze mostravano l’esigenza di far fronte alle inefficienze se non al collasso degli apparati giudiziari nazionali dello Stato nel cui territorio i crimini erano stati perpetrati, alla quale si affianca l’obiettivo più generale di contribuire ad un processo di riconciliazione nazionale dopo periodi di guerra civile.

Diversamente, la scelta del Senegal di procedere alla punizione dei responsabili dei crimini commessi in Ciad è legata alla volontà di tale Stato di rispettare quanto disposto dalla Corte di Giustizia dell’ECOWAS e di adempiere all’obbligo di giudicare sancito nella Convenzione delle Nazioni Unite conto la tortura e ribadito nella citata sentenza della Corte Internazionale di Giustizia nel caso Belgio c. Senegal.

La riapertura del processo contro l’ex dittatore del Ciad, ci fa sperare in una giustizia possibile. Il Senegal ha dimostrato di voler condannare i responsabili della commissione di crimini internazionali tanto gravi e la punizione di Habré porterà ad una soddisfazione morale più che economica ai sopravvissuti e ai parenti delle vittime cadute sotto la dittatura di Hissène Habré.